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Sempre da Spoon River

Herbert ruppe il nostro fidanzamento di otto anni quando Annabella ritornò al villaggio dal collegio, ahimè! Se avessi rispettato il mio amore, forse sarebbe diventato un bel dolore – chi sa? – riempiendomi la vita di profumo. Ma io lo torturai, lo avvelenai, lo accecai, ed esso si mutò in odio – edera mortale invece che clematide. E l’anima cadde dal suo sostegno, i suoi viticci si intricarono in rovina. Non lasciate la volontà farvi da giardiniere nell’anima, a meno che siate sicuri ch’essa è piú saggia dell’anima vostra.

Edgar Lee Masters (tra le mie epigrafi preferite d

George Gray Molte volte ho studiato la lapide che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto. In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita. Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno; il dolore bussò alla mia porta e io ebbi paura; l’ambizione mi chiamò ma io temetti gli imprevisti. Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita. E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre a follia ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio – è una barca che anela al mare eppure lo teme.

“Anatomia” del pettegolezzo

Pettegolezzi e dicerie sono vecchi come il mondo. Dai tempi dell’antica Grecia ai giorni nostri niente e nessuno si salva dalle chiacchiere, benevole o malevole che siano. Non si tratta solo di storielle a sfondo personale, molto spesso con il passaparola si costruiscono vere leggende metropolitane: per ripulire una moneta arrugginita basta immergerla in un bicchiere di Coca-Cola; per regalare un cane-guida a un cieco bisogna raccogliere cinquanta chili di scontrini fiscali o di carta stagnola. Ma qual è, se esiste, la molla che ci spinge a impicciarci dei fatti degli altri? O, in mancanza di meglio, a inventare succose quanto inattendibili panzane da divulgare a tutti gli interessati? “Pettegolezzi e dicerie”, spiega Sergio Benvenuto, psicologo presso il Cnr di Roma e autore di un saggio intitolato, appunto, Dicerie e pettegolezzi “sono espressione di paure e desideri inconsci. E più che da intenzioni malevole, spesso i pettegoli sono spinti dal desiderio di sentirsi e mostrarsi vicini alla persona oggetto della curiosità“. Infatti, il motore delle chiacchiere è un desiderio non riconosciuto come tale o non ammesso con se stessi. E la maggior parte dei racconti serve per attribuire ad altri opinioni e sentimenti che non abbiamo il coraggio di dichiarare apertamente, perché per diversi motivi li consideriamo censurabili. Perciò affermare che il premio Oscar Kevin Spacey è un grande attore e bisbigliare che è gay, significa che vogliamo focalizzare l’attenzione sulla sua (presunta) omosessualità, ma non osiamo dirlo apertamente. Le dicerie, insomma, sono delle comode “favolette” che consentono di aggirare le censure imposte dalla cultura del nostro tempo. Se il celebre scrittore francese La Fontaine vivesse oggi, per raccontare la storia della cicala incosciente e della saggia formica non potrebbe puntare solo sulla critica alle “mani bucate” della cicala, perché oggi il consumismo non è più così censurabile. Ma dovrebbe insinuare un “peccato” ancora più grave. “Tra pettegolezzo e diceria, tuttavia, esiste una differenza di fondo”, spiega Sergio Benvenuto. “Il primo riguarda la vita privata, la seconda si riferisce di solito ad aneddoti che non hanno come protagonisti personaggi reali”. In qualunque comunità con il passaggio di notizie si diffondono, inevitabilmente, anche dicerie e pettegolezzi. La caratteristica della nostra epoca è che le informazioni si propagano sempre più velocemente, creando in breve tempo dal nulla vere e proprie leggende . L’uomo è più pettegolo Le chiacchiere sono un argomento troppo ghiotto per non essere oggetto di studio. Per esempio, negli anni Quaranta due psicologi americani, G. W. Allport e L. J. Postman, hanno notato come il meccanismo che genera le dicerie sia del tutto simile a quello della memoria. “Il passaggio di un’informazione iniziale da una persona all’altra”, conferma Sergio Benvenuto, “equivale al processo della memoria. La diceria, infatti, è la deformazione di una notizia causata dal passaggio di bocca in bocca. Proprio come un ricordo è il risultato di percezione originaria che, nel corso del tempo, è stata filtrata, modificata o deformata completamente”. Questi studi confermano e approfondiscono una visione che risale addirittura agli antichi Greci per i quali in ogni mito ci sarebbe un nucleo di verità storica. E a proposito di miti: da sempre si dice che le donne sono sinonimo di pettegolezzi. In realtà questo è un pregiudizio. Sia gli uomini sia le donne amano le chiacchiere allo stesso modo. Ma fino a qualche tempo fa i ruoli erano più definiti e gli uomini provavano un certo disagio ad affrontare pubblicamente argomenti “privati”. Oggi, però, questi schemi sono caduti e non ci sono più differenze rilevanti di comportamenti. Anzi, è noto che tra gli adolescenti maschi, per i quali il mondo femminile è ancora lontano e in qualche modo irraggiungibile, il pettegolezzo sulle donne è all’ordine del giorno. Gli argomenti sessuali Chiunque può diventare oggetto di un pettegolezzo, non solo i personaggi famosi: è sufficiente che la persona chiacchierata sia ritenuta importante da chi ne parla. A questo proposito esistono alcune ricerche realizzate nelle scuole medie americane, che mostrano come a essere presi di mira siano prevalentemente i leader di un gruppo, mentre, in genere, chi mette in giro le voci sono gli arrivisti, ossia quelli che cercano di stare vicini ai “capobanda” di turno per salire nella gerarchia sociale. E non si tratta di un meccanismo prettamente adolescenziale, anzi. Sono all’ordine del giorno le indiscrezioni di autisti, camerieri o baby sitter che raccontano fatti di ordinaria quotidianità della famiglia per cui lavorano, come è successo al Primo Ministro inglese Tony Blair. “Molto spesso le chiacchiere più succose”, spiega lo psicologo del Cnr, “riguardano argomenti di ordine sessuale, perché siamo tutti spinti da un impulso voyeuristico, che ha radici antichissime. Sapere “chi sta con chi” è una nostra esigenza che, peraltro, svolge anche un’importante funzione sociale: collocare ciascuno nella rete di relazioni che ci circonda”. Finora ci siamo occupati del pettegolo, ma come vivono questi episodi le vittime delle chiacchiere? La faccenda non ha una risposta univoca, secondo Sergio Benvenuto. Rischia di cadere nella rete del pettegolezzo chi ha paura dei pregiudizi legati a temi forti, per esempio una malattia grave che si vuole tenere nascosta. I valori da proteggere non sono assoluti, ma cambiano con il mutare dei costumi. Fino agli anni Settanta, infatti, qualsiasi disturbo di natura psicologica era una vergogna da nascondere. Oggi, invece, ammettere di ricorrere all’aiuto dell’analista è diventato quasi una moda. Basti pensare all’attore americano Woody Allen, che non fa mistero di frequentare regolarmente uno psicanalista; che lo racconta in molti suoi film e che continua a impersonare lo stereotipo dell’uomo in crisi esistenziale persino in uno spot televisivo apparso recentemente in Italia.Negli anni Ottanta nasce un nuovo tabù, l’Aids. Che agli occhi della gente diventa sinonimo di omosessualità, droga e promiscuità sessuale. E il mondo dello spettacolo rappresenta il bersaglio preferito di questo tipo di pettegolezzo. Oggi, invece, le preoccupazioni per la salute dei vip sono superate solo dall’interesse maniacale per la loro vita sentimentale e i loro gusti sessuali. Tuttavia attori, cantanti e conduttori televisivi fanno parte di una cerchia particolare dove il pettegolezzo nasce e si alimenta con un elemento in più: “Per i cosiddetti vip”, conclude Sergio Benvenuto, “la chiacchiera è una sicura conferma di celebrità. E il silenzio fa molto più paura”.

Le certezze dei pettegoli

Le certezze dei pettegoli La diceria e la crisi del pensiero Sergio Benvenuto, “Dicerie e pettegolezzi” “Siccome gli esseri umani trovano piacevole ciò che desiderano, bisogna concluderne che molte persone desiderano che certi fatti accadano”. Pur di soddisfare questo postulato gli umani sembrano disposti a tutto. Stiamo parlando di quel bizzarro fenomeno che è la diceria e il pettegolezzo. “Ogni diceria è come un animale che nuota in un magma di discorsi attuali e possibili, dove però alcuni percorsi sono più probabili e percorribili di altri”. Voci, fantasie, “leggende metropolitane” attraversano la galassia dell’informazione fino a diventare, una nuova forma di vox populi che “ci mette in contatto con una dimensione umbratile della vita sociale, con i bassifondi o le fogne impresentabili del pensiero collettivo”. Su questi imprevedibili aspetti psicologici e sociali Sergio Benvenuto – saggista, psicologo presso il Cnr di Roma e direttore del “Journal of European Psychoanalysis” – ha dedicato un’approfondita ricerca. Il suo libro Dicerie e pettegolezzi offre una vasta panoramica delle implicazioni e dei meccanismi che governano questa diffusa pratica di “voyeurismo verbale”. Se l’etimologia di pettegolezzo rimane incerta nella sua derivazione da peto o da pithecus, scimma, nelle altre lingue troviamo divertenti sorprese. Nel francese abbiamo sia commérage che proviene da madrina sia ragot, letteralmente il grugnito del cinghiale. Lo spagnolo comadreo significa comare o vicina di casa. L’inglese gossip proviene da madrina. Comari, madrine, vicine di casa, nonne: una lunga tradizione europea, in probabile odore di misoginia, connette strettamente pettegolezzi e donne. È un aspetto, quest’ultimo, su cui filosofi e pensatori si sono sempre soffermati. Le chiavi di lettura della diceria, in questa ricerca, sono molteplici. Le dicerie manifestano un desiderio che “viene soddisfatto solo se allo stesso tempo viene disconosciuto o negato”, attuando quindi l’aggiramento di una censura. A seconda dei casi trasmettono un senso tragico, veicolando aggressività, moralismo, o un intento pedagogico. Quasi sempre hanno un contenuto fobico o persecutorio, procedono dall’invidia, bersagliano ciò che suscita fastidio mirando a denigrare e beffare. Confermano pregiudizi e superstizioni. In un’epoca che celebra il trionfo dell’informazione e della comunicazione il fenomeno della diceria testimonia una disgregazione della soggettività che favorisce, invece, un’individualità “presa a prestito” o una sorta di identità virtuale. In una battuta: “nella misura in cui la cultura viene pigiata nei cervelli di ciascuno, essa viene trasformata in un’immensa diceria”. I valori simbolici della funzione del giudizio e del senso di realtà sembrano sfaldarsi a favore di un indefinibile magma immaginario dove tutto, in assenza di pensiero, è dicibile. Forse la contemporaneità ci mostra una riedizione, alla seconda potenza, del mito di Babele. “La chiacchiera – affermava Heidegger – non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto”.