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Arisa: l’unica Controvento


Ho capito che gli equilibri nella musica italiana sono definitivamente mutati quando ho letto la sceneggiata di Piero Pelù a Tv Sorrisi e Canzoni.
El Diablo, il maledetto, il cantante che puzza di zolfo e sudore, quello che gira inguainato nei pantaloni di pelle anche con cinquantadue gradi e cinquantadue anni percepiti, ha sbattuto i pugni sul beauty-case perché in foto è venuto male. Perché non si piace. Perché non gli hanno fatto controllare lo scatto prima. O quando Ligabue s’è messo a cantare sul palco dell’Ariston pettinato come Justin Bieber con Fazio che gli ballava dietro. Ecco.

Lì ho capito che non ci sono più i rocker di una volta. Che la trasgressione, quella fatta di coraggio, ribellione e provocazioni veraci, oggi in Italia appartiene ad un solo personaggio nel campo musicale. Appartiene ad Arisa. E non storcete il naso perché ha più coraggio Rosalba Pippa da Pignola che il novantacinque per cento di tutta la sterminata mandria di attrici, comici, cantanti e ballerini che popolano il tubo catodico.

Ha iniziato che pareva Ugly Betty, con l’aria di quella che alle feste di classe riceveva meno inviti a ballare un lento lei della scopa. Si presentava vestita da campagnola bon ton, canticchiava «Sincerità» o «Malamorenò», due canzoncine buone da fischiettare sotto una doccia (chimica) e rispondeva alle interviste con la vocina di colei che aveva appena dato due boccate d’elio. Insomma, la guardavi e ti auguravi che finisse inghiottita al più presto nello stesso buco nero in cui sono stati risucchiati i Jalisse o i Neri per caso o i Dirotta su Cuba o Gemma del Sud. E invece non avevamo capito niente. Mentre noi, stupidi, stavamo prendendo le misure del suo naso, Arisa stava prendendo le misure del successo. Fiutava, si guardava intorno, imparava le regole. Sostanzialmente, decideva di farsi accettare e farsi spalancare la porta della popolarità per poi creare un gran casino dal di dentro. Che poi è lo stage di tutte le schegge impazzite che si rispettino. Tu pensi d’aver fatto entrare in casa Bambi e invece ti ritrovi l’Anticristo.

I primi segnali decisivi della mutazione da nerd a scheggia, sono arrivati con X Factor. Intanto, Arisa ha avuto un infighimento che neanche Franceschini prima e dopo la barba. E quando una donna si infighisce in quel modo, quando una passa dall’essere Betty la cozza a Arisa la gnocca, vuol dire che è capace di tutto, dall’entrare nell’arco di un mese in una taglia quaranta a sfanculare con un totale sprezzo del pericolo il coach più irascibile della storia dei talent, dalla naumachia di Giulio Cesare ad Amici di Maria De Filippi: Simona Ventura. E infatti, col suo «Sei falsa Simona cazzo!» Arisa è entrata a pieno titolo nella storia degli impavidi che hanno saputo sfidare l’impossibile: Davide contro Golia, Leonida contro la Persia, Cuperlo contro Renzi, Arisa contro Simona Ventura. E nonostante il gesto le sia costato l’epurazione dal talent più bello della tv – perché una donna a cui hanno falciato il nonno sulle strisce pedonali sa perdonare, ma la Ventura no – Arisa non ha battuto ciglio e ha proseguito per la sua strada.

Dritta si fa per dire, visto che sui tacchi ha l’andatura di Johnny Depp all’uscita da un’enoteca. Nel frattempo si molla col suo fidanzato, che poi è quello che le ha scritto tutte le canzoni fino a quel momento compresi i motivetti demotivanti, e si consola con un altro, tal Lorenzo, il quale a dirla tutta è pure piuttosto figo. I giornali la ritraggono con lui per strada e le limonate immortalate dai paparazzi sono così focose che l’ugola di Arisa la vediamo per la prima volta sui giornali di gossip, anziché sul palco mentre canta. Noi la pensavamo a letto nella sua sottana di lino bianco col buco al centro come le vergini di una volta e invece è molto probabile che Arisa abbia una vita sessuale ben più vivace della nostra. E di quella di Piero Pelù.
Intanto alla scheggia Arisa riesce un altro miracolo, che è quello di tenersi l’ex fidanzato come autore delle sue canzoni, e questo di rimanere soci degli ex, è un talento che in Italia è universalmente riconosciuto a sole due categorie umane: le gatte morte e Casini. Poi arriva Sanremo 2014. Mentre Noemi si presenta vestita da gemellina di Shining, Arisa veste Jil Sander. Ha l’aria imbronciata e sfrontata di quella che sta lanciando un preciso messaggio al popolo: «Ero un fumetto e ora sono un’icona minimal chic. Avete creduto a tutto, al milione di posti di lavoro, al metodo Stamina, alla conversione di Sara Tommasi e ai vantaggi della Tasi, potete credere anche a questo».

Noi, in effetti, ci crediamo a tal punto che «Controvento» e le sue décolleté gialle, riescono a polverizzare perfino gli scolli a V con pelo strategico di Renga, gli acuti di Gualazzi e i contorsionismi al piano di Rubino. E dopo aver steso tre uomini con un brano del suo ex uomo, stende anche il quarto, Fazio, che prova a far leva sull’emozione della vittoria e si sente rispondere: «Sì, mi aspettavo di vincere, ero qui per questo. E non mi scompongo, io sono così». Morale: Sorrentino agli Oscar ringrazia pure Maradona emozionato come un adolescente e lei a momenti col palmizio d’oro ci si gratta la schiena.

Ma il panzer Arisa non si ferma qui. Il giorno dopo va dalla Venier per le celebrazioni di rito, le mostrano un video in cui la madre racconta di come era da piccola e lei esce di scena incazzata come una biscia. La Venier la implora di tornare ma Arisa è già al casello Imperia est. Dirà in seguito che la tv delle lacrime e del gossip le fa orrore. La Venier, altra creatura incline al perdono quanto la Ventura, Putin e l’Idra a tre teste, va dalla Bignardi e in mezz’ora di intervista, per ventinove minuti lancia anatemi ad Arisa. Una roba che se fossi Arisa cambierei nome sul passaporto e me ne andrei a vivere in una comunità di Quaccheri in Pennsylvania. Ad Arisa, invece, tanto per cambiare non frega un’emerita cippa e continua beata la sua promozione, incurante di battutacce sul suo cognome e delle regole del gioco. E anche del sottotitolo che i nemici illustri hanno dato al suo nuovo album «Se vedo te». Sì, Se vedo te (ti meno). Avanti così Arisa, sei tutti noi.

Intervista a Chef Rubio

Guardi Gabriele Rubini in arte Chef Rubio e pensi: questo non solo cucina, ma se occorre la cucina te la monta pure sollevando i pensili con la stessa naturalezza con cui gira il risotto. E in fondo è questo, e non solo questo, che distingue Chef Rubio dagli altri cuochi che circolano in tv: il braccio tornito e tatuato con cui gira il risotto. Che è quello di chi mescola ma anche di chi si mescola. Alla gente, alla strada, allo sport, alla vita. Ed è una vita concentrata la sua, più di certi sughi che mette sul fuoco. Trent’uno anni, ex rugbista (ha giocato a Roma, ma anche in Nuova Zelanda), i primi passi in cucina proprio mentre giocava dall’altra parte del mondo, un trasferimento in Canada per fare nuove esperienze in cucina, poi il fortunato esordio in tv, su DMax, in cui ha condotto la prima stagione di “Unti e bisunti” (è in arrivo la seconda). Ora, sempre su Dmax, Rubio conduce “Il cacciatore di tifosi”, in cui spiega alla gente comune il suo primo amore: il rugby. E nel frattempo, siccome la celebrazione di un cuoco passa attraverso la pubblicazione di un libro di sue ricette, ha pure scritto un libro insieme alla ricercatrice Stefania Ruggeri, “La nuova dieta mediterranea”.

Copertine, foto patinate, ora anche il libro. Non mi dire che ti stai imborghesendo anche tu.
Non ci penso proprio. In realtà io al libro ci pensavo già quattro anni fa, quando la popolarità era ancora una cosa lontana e nessuno, allora, se lo avessi proposto mi avrebbe calcolato. Volevo scrivere qualcosa contro questa mania di fare i nuovi americani, anziché essere i vecchi mediterranei che siamo. Ormai tra un burger bar, un sandwich e un like su facebook, ci nutriamo e basta, non assaporiamo. La cucina mediterranea è un ritorno alle sane abitudini.

Il libro è un po’ anomalo in effetti. Tra ricette e considerazioni scientifiche c’è anche la tua prosa, un Rubio scrittore. Dopo la bruschetta nell’olio vuoi intingere la penna nel calamaio?
Sì, perché amo scrivere e la scrittura è come la cucina: la pratichi per te stesso, certo, ma puoi la vuoi anche condividere. E poi io sono orso, faccio fatica a esprimermi parlando, anche se parlo bene, ma con la scrittura mi viene più facile. Ho un blog, traslochifunebri.blogspot.com in cui scrivo e dico che siamo tutti morti viventi che camminano portandosi dietro la propria bara.

Quindi il prossimo passo sarà la letteratura. Nel frattempo dal rugby sei passato alla cucina. Sei meglio come rugbista o come cuoco?
Il rugbista l’ho fatto per diciotto anni, quindi dico meglio come rugbista. E poi in cucina raggiungere la famosa eccellenza è una cosa complicata. Anzi, forse non la si raggiunge mai. Nel film “Jiro dreams of sushi” questo meraviglioso ottantacinquenne giapponese mostra come da settant’anni fa sempre la stessa cosa, prepara sempre lo stesso sushi, seguendo sempre lo stesso rituale. L’eccellenza è un moto perpetuo, ogni giorno ci si può superare.

Dimmi la verità. Street food, tatuaggi, la calata romana. I cuochi stellati non ti guardano dall’alto in basso?
Mi frega davvero poco dei cuochi stellati e poi i migliori non sono quelli che vanno in tv, quelli sono comunicatori. Per me il cuoco stellato numero uno è Alessandro Breda del Gellius di Oderzo. Mi basta un suo “Vai così” per avere le giuste motivazioni.

Facciamo il gioco della torre. Se dovessi buttare giù un cuoco a scelta tra Carlo Cracco, Benedetta Parodi e Gualtiero Marchesi, a chi daresti la spinta?
A Benedetta Parodi, lei è una comunicatrice per massaie. E’ la Barbara D’Urso dei fornelli.

Ma la tv la guardi?
Non la vedo dal 2006, e non lo dico per dire, è così. Mi vado a cercare quello che mi interessa su youtube, mi informo, ma seleziono. La tv per me è come la compagnia: va selezionata quella giusta. E poi preferisco leggere.

Cosa leggi?
Murakami. La Yoshimoto. Mai libri di cucina. Io amo la cultura giapponese perché i giapponesi sono eclettici come me.

Aprendo un menù al ristorante, c’è qualcosa in particolare che ti manda in bestia?

Sì. L’incapacità di scriverlo in primis. Quando vedo che per descrivere un piatto ci vogliono cinque righe, quando leggo termini come “Aria” “spuma”, “letto di”, mi irrito. Troppe parole nascondono poca sostanza. La cucina è una cosa semplice, i piatti si descrivono citando tre ingredienti massimo e non scrivete “in crosta di” se poi la crosta manco c’è!

Le donne subiscono il tuo fascino in modo indegno, e non solo il tuo. Cos’hanno i cuochi di così attraente?
Noi facciamo cose che nessuno fa più. Gesti che non sono più dei riti come una volta nelle famiglie. Nessuno ha più tempo di impastare, fare il brodo e la gente rimane imbambolata davanti alla tv a guardare noi che siamo ancora capaci di farlo.

Hai a cena la Santanchè. Cosa le cucini?
La devo per forza invità?

Si è autoinvitata.
Allora qualcosa che non va masticato troppo, non vorrei mi si scucisse o crollasse l’impalcatura. Niente bistecche troppo alte che si rischia. Magari un brodo di gallina vecchia, che è buonissimo.

E se a cena hai la Boschi?
Mi pare una sveglia, ma non l’ho capita ancora bene. Le offrirei pesce crudo e un bicchiere di vino, così si svelerebbe per quello che è davvero.

Un cibo italiano sopravvalutato?
Il cibo italiano è svilito quando viene fatto male e succede spesso. La pizza è una cosa fantastica, ma la pizza di Spizzico non è pizza.

Il posto in cui si mangia meglio e peggio nel mondo.
Meglio in Giappone, non ci piove. Lì ho mangiato ovunque, dai posti davanti alle fermate dell’autobus ai ristoranti stellati con sei tavoli in tutto e il cibo era sempre incredibile. Il posto
in cui si mangia meno bene direi il Nord Europa, forse l’Olanda. Sono pieni di materie prime fantastiche ma non sanno sfruttarle al meglio.

Nel libro dici che la dieta mediterranea aiuta a fare meglio l’amore. Sottoscrivi?

Certo. Se mangi bene, se mangi i cibi della dieta mediterranea, non sei appesantito e hai energia da bruciare molto velocemente. In più, il liquido seminale dell’uomo ne beneficia perché col cibo giusto è di più e più buono. Se ti fai una bistecca con salsa bernese poi ti accasci sul divano. Se mangi mediterraneo, sei più invogliato a sbattere la donna contro il muro.

(mi schiarisco la voce). La popolarità ti consente di cucinare per milioni di italiani. Ma riesci ancora a mangiare tranquillo?

Insomma, diciamo che non mi posso più sbrodolà come una volta e che devo sta attento alla ruchetta in mezzo ai denti, ma tutto sommato, va bene così.

E comunque, diciamolo: all’uomo che ti sbatte contro al muro per una semplice pastasciutta, poi la camicia sbrodolata, noi donne, la smacchiamo più volentieri. Figuriamoci se quell’uomo è Chef Rubio.

Il terrazzo racconta

Nella casa in cui andrò a stare tra un po’ c’è un terrazzo grande. Non ho mai avuto un terrazzo grande, per cui per la prima volta mi sono posta il problema di come renderlo qualcosa di più che un fazzoletto all’aperto su cui stendere i calzini o prendere un po’ di sole messa di sbieco. Allora mi sono messa a guardare i terrazzi in città. Quello che la gente ci mette, quello che si riesce a scorgere dalla strada. E guardando certi terrazzi confinanti nello stesso palazzo, grandi uguali, magari con una vista mesta, di fronte a un palazzo con l’ombra alta di un dinosauro, mi sono resa conto di come nello stesso palazzo, i terrazzi raccontino la gente. E di quanto siano diversi. C’è gente che il terrazzo lo riserva alle scope e ai tappeti a cui far prendere aria. Gente che li acchitta come fortini, con tendoni scuri e grate di legno. Altri che hanno ancora su appese le comete natalizie e si godono il terrazzo solo quella settimana l’anno, quando quella ringhiera diventa il loro pezzo di Las Vegas. Poi ci sono quelli che non si rassegnano. Quelli per cui quei due metri quadrati di cemento sono la loro finestra sul mondo, sono un giardino verde, sono il prato dei sogni e allora li riempiono di piante, felci, alberelli, edera, fiori e vasi colorati e sedie di ferro battuto e annaffiatoi e cesti di vimini e pensi che alla fine la meraviglia sta lì: nella gente che non s’arrende e in quei due metri quadrati di cemento nell’ombra, sa inventarsi una foresta.

Che ci importa del mondo

Quando mi hanno regalato un computer, un po’ di anni fa, c’era un blog che non si chiamava blog. Era il “Mumble mumble” di Jovanotti. Lorenzo, lì, raccontava la sua vita a Cortona, le avventure del suo cane Pinocchio, il pancione di Francesca che cresceva. Piccole storie di vita quotidiana, a cui mi ero appassionata. Desiderai un blog all’istante. Qualche tempo dopo, il mio amico Claudio (che conobbi proprio grazie al Forum di Jovanotti), nel giorno del mio compleanno, mi regalò un blog. Accesi il computer e me lo trovai davanti, intonso e rosa confetto. Ho cominciato a scrivere lì, e non mi sono più fermata. Quattordici anni dopo, la copertina del mio libro la fa Sergio Pappalettera, che a Jovanotti, Battiato e molti altri, di copertine ne ha create parecchie. E la copertina del mio romanzo mi piace un sacco. Un bambino, un campo di grano, dei vecchi televisori. Cosa vuol dire, lo scoprirete presto (dal 2 aprile). Grazie Sergio, grazie Rizzoli.

 

Intervista a Joe Bastianich

Non fa sguardi da piacione alla Cracco. Non edulcora la pillola come Barbieri. Joe Bastianich è l’unico giudice di Masterchef che se ne frega di piacere alle donne e se ne frega di piacere ai concorrenti. Un po’, forse, gli è dispiaciuto non essere piaciuto al pubblico (numerosissimo) della finale di Masterchef, che ha bocciato con la stessa spietatezza con cui lui stampa un piatto sul muro, l’esperimento della diretta.

Eravate abituati bene. Consenso unanime, Masterchef è forse uno dei programmi col più alto gradimento della storia della tv negli ultimi anni, come avete preso voi giudici le critiche che vi sono piovute addosso dopo la finale in diretta?
Mi è dispiaciuto. Abbiamo voluto provare a fare tutto dal vivo e abbiamo sbagliato. Non lo faremo mai più, ma è come in cucina, sbagliando si impara.

Un po’ è stata anche colpa vostra. I dirigenti Sky vi hanno lanciato i piatti in testa come fai tu?
C’erano molte facce lunghe il giorno dopo in Sky, questo sì. E’ un programma che viene realizzato in molto tempo, poi montato con attenzione, dal vivo non rende, credo che sia stato un po’ un peccato per tutti.

Non avevi messo in preventivo il fatto che tu, Barbieri e Cracco non siete tre showman?
Forse no, ma la verità è che abbiamo condotto male, è stato gestito male, è stato un momento di tv non all’altezza del resto che avevamo fatto, spero solo che il pubblico ci perdoni.

Parliamo del vincitore. L’anno scorso l’avvocato, quest’anno Federico il pignolo. La simpatia non vince in cucina.
Federico non è affatto antipatico, anzi, è simpatico. E’ solo un po’ precisino e tanto spigoloso.

Anche l’avvocato era simpatico?
Simpatica non è la prima parola che mi viene in mente pensando a lei.

Quale ti viene in mente?

Causa persa.

Per chi tifava Bastianich?
Quest’anno erano tutti bravi, ma Almo, Salvatore ed Enrica erano i miei preferiti.

La standing ovation però il pubblico l’ha riservata ad Alberto.

L’Italia ama Alberto perché conosce la vita, è un grande uomo, saggio e poeta.

Tua mamma ti rimprovera mai la tua rudezza nei giudizi?

Eccome! La mattina dopo la puntata mi manda delle email di fuoco, in cui mi scrive “tu sei scorretto!”, “Cattivo!”, “Smettila di fare così!” e io mi faccio sgridare a quarantacinque anni, ma sono abituato.

Su di te aleggia un mistero. Cracco e Barbieri hanno spadellato spesso a Masterchef, tu sai cucinare?
So cucinare, ma non sono un cuoco, io faccio il giudice e il selezionatore di cuochi, quindi sono un intenditore di cucina, ma cucinare non è il mio lavoro.

Ok, ma se mi inviti a cena due uova strapazzate le sai fare?

Stai tranquilla, so fare molto di più.

L’anno scorso ha fatto molto discutere la tua dichiarazione su Berlusconi. Dichiarasti che se si fosse presentato nel tuo ristorante l’avresti cacciato. Se si presentasse a cena da te Renzi?
Renzi mi è simpatico, se viene da me mi siedo, mangio con lui e gli offro la cena, sono un suo supporto, menomale che in Italia è arrivato uno come Renzi.

Se Renzi fosse un piatto sarebbe?
Una bistecca alla fiorentina. Al sangue, lui è sanguigno.

Tra te e Rachida c’era uno strano rapporto, un po’ ambiguo. Tu la bacchettavi e lei era felice. Era un po’ innamorata di te?
E’ una donna strana, a lei piace essere sgridata, non so quanto questa cosa sia legata ai suoi gusti personali… chissà, forse conduce una vita alternativa in casa sua, magari sadomaso.

In Usa, fai Masterchef Junior, che in Italia vedrà giudice tua madre. Con i bambini sei più tenero o gli blocchi la crescita coi tuoi cazziatoni?
Sono più morbido. I bambini sono incredibili, sono più bravi, onesti e intelligenti dei concorrenti adulti. Non sono ancora storti dalla vita. Aspettatevi grandi cose dai bambini italiani, sono dei cuochi sorprendenti.

A Cristina e Fabio. A Giusy e Matteo.

Questa cosa l’avevo scritta tempo fa, per una persona a cui poi non l’avevo mandata. Me l’ero dimenticata, l’ho ritrovata cancellando delle note dal telefono. La regalo a quelle coppie che si sono ritrovate dopo che si erano perse. A Cristina e Fabio. A Giusy e Matteo. E’ una cosa che capita di rado, ma quando accade, sono coppie che hanno una marcia in più, perché hanno fatto la guerra vera, quella di trincea. E sono sopravvissute.

“Guardo giu’, dal finestrino dell’aereo. Vedo distese immense, disabitate. Poi improvvisamente paesini minuscoli, adagiati su valli strette e concave, tra una montagna e l’altra. Noi due, tra un addio e un altro. Quel microscopico, meraviglioso miracolo del tempo ritrovato, delle parole non dette, del finale capovolto. Dell’amore, che chiede spazio.
Che cerca il suo inizio, stretto tra le rocce fredde di quello che e’ stato e le vette fiere di quello che lo faremo diventare.”.

La Banalità di Lucci

Lucci ha fatto una triste figura a Le iene. Ma triste davvero. In realtà è da un po’ che pensavo che Lucci fosse bollito e che i suoi insulti fossero diventati gratuiti e patetici, ma con la Boschi ha toccato il fondo. La insegui per dirle che è una strafica, fai battute sui “rapporti” col parlamento, insisti, te ne compiaci. Te ne stai appostato lì magari ore per dire queste minchiate becere e di una banalità sconcertante. Non parlerei solo di maschilismo come la Terragni e altri. Parlerei proprio di banalità. Tutta questa agitazione perché c’è un ministro biondo con gli occhi azzurri. Ti siedi con gli autori e decidi “Andiamole a dire che è una strafica!”. Wow! Pensate: c’è una donna in gamba e anche carina, perché non farle due battutacce da bar dello sport. Davvero pietoso. Lucci era bravo, lo è ancora per certe cose (i suoi servizi sulle baby miss erano perfetti) ma per certe cose il filone “ho la faccia come il culo, quante risate!” s’è esaurito e non si recupera alzando l’asticella della volgarità. Mi auguro che la Boschi si batta per la prima seria riforma: prendere a calci in culo gli uomini così.