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La ragazza che tira l’acido, la vecchietta che fa saltare il palazzo, la donna che si procura l’aborto, la maestra che picchia gli alunni. Sempre più spesso il mostro è femmina, anche se è difficile ammetterlo

Mentre arriva la sentenza d’appello per Lucia Annibali (20 anni di reclusione a Luca Varani, ritenuto il mandante dell’agguato, 12 per i sicari albanesi) e vengono diffusi gli impressionanti numeri sui casi di femminicidio (179, ovvero uno ogni due giorni, nel 2013), pensavo a come, paradossalmente, le prime pagine dei giornali negli ultimi tempi siano costellate da notizie di cronaca in cui le donne non sono vittime ma carnefici. Continua

Che abbiano un biscotto in mano o una cintura esplosiva in vita, con i bambini il successo di uno spot è assicurato

Ci sono dei riti quotidiani, minuscoli, trascurabili, quando si hanno dei figli, che sembrano gesti meccanici, finchè non smetti di compierli. Finchè i figli non diventano abbastanza grandi da farli da soli e allora ti accorgi che chiudere la cartella, asciugargli i capelli col phon o preparargli la cena, era qualcosa di più di un gesto meccanico. Era prendersi cura di loro. Continua

La domande degli utenti al centro assistenza facebook sono assolutamente esilaranti

In queste giornate così meste e di giusto tributo alla satira volontaria, mi sembra giusto concedere un po’ di spazio anche alla satira involontaria. Se pensate che l’apice l’abbia toccato Rita Dalla Chiesa che qualche notte fa augurava un dolce sonno ai suoi numerosi follower scrivendo “Buonanotte a chi non ha nessuno che gliela dia”, scatenando così l’ilarità generale, vi sbagliate di grosso. Il meglio della comicità involontaria sul web lo trovate nel centro assistenza di facebook, nella sezione forum e domande, ovvero quel luogo in cui gli utenti chiedono soluzioni per i loro problemi relativi all’utilizzo del social. Continua

Sentenza Stasi e i commentatori tipici del Web

Ecco a voi i commentatori tipo sul web dopo una sentenza tipo Stasi. Il mio pezzo su Libero di oggi.

Ormai è la prassi. Arriva una sentenza su un caso mediatico e il condannato di turno, prima ancora di diventare un detenuto, diventa un hashtag (il cui simbolo non a caso è quello della grata di una cella). E’ – inevitabilmente- accaduto ieri con Alberto Stasi. Un fiume di commentatori s’è riversato sul web e ha sentito la necessità di dire la sua al mondo con le consuete argomentazioni da bar, partorite con trasporto dalle seguenti categorie tipo di utenti:

Il giustizialista all’italiana.
E’ quello che non ha neanche capito bene chi abbia commesso l’omicidio, chi sia la vittima e quale sia stata la condanna, ma per lui l’importante è che qualcuno marcisca in carcere e buttino le chiavi nella fossa delle Marianne. Legge di un furto di pedalini all’Oviesse da parte di due adolescenti e sbraita per ore cose come “Li devono mettere in galera e non devono uscire più questi piccoli delinquenti”. Poi magari lo convoca a scuola il preside perché il figlio ha cercato di dare fuco all’insegnante di educazione fisica e “Che sarà mai, sono ragazzate, le abbiamo fatte tutti”.

Il detective mancato.
E’ quello convinto di essere il figlio illegittimo della signora in giallo. Lui vede cose che sono sfuggite al Ris, ha il fiuto del cane molecolare e i mezzi dell’fbi. E’ quello che sa tutto lui. Che suggerisce piste non ancora battute dagli investigatori. Quello che siccome l’assassino aveva delle scarpe con i gommini sulla suola, si domanda se qualcuno abbia verificato l’alibi di Della Valle. E scherzo fino a un certo punto. Chiedete alla redazione di Quarto grado o di altri programmi di cronaca nera. Nei casi di mancato ritrovamento del corpo della vittima, ci sono spettatori che scrivono alla redazione “Il corpo non si trova perché l’assassino se l’è mangiato”. Giuro.

Il garantista estremo.
E’ colui per il quale l’unico assassino certo è quello che uccide a roncolate la suocera in diretta tv mentre Ilaria Cavo lo sta intervistando. Il resto, sono illazioni tese a sostenere fragili teorie probabilistiche che non mirano alla ricerca della verità ma di un colpevole. Tu gli dici: “Eh ma ci sono le sue impronte sul manico del coltello!” e lui: “Beh, come fai a escludere che ce le abbia messe qualcun altro?”. “E come si fa a mettere le impronte di un altro sul manico di un coltello?”. “Magari il vero assassino gli aveva dato il cinque prima di afferrare il coltello!” “Ma va”. Magari hanno le stesse impronte digitali.”. “Ma c’è una probabilità su un miliardo”. “Perché, quante ce n’erano che la Madia diventasse ministro?”. E così via.

Il lombrosiano.
Quello che dopo 15 anni di processi, appelli e cassazione, l’imputato viene condannato e lui “Io l’ho sempre saputo, ha la tipica faccia da assassino”. Che se il criterio fosse questo, Casaleggio come minimo avrebbe il cadavere di Pizzarotti nel freezer.

Il giurista de noantri.
Quello che nella vita ha una tabaccheria, scrive un pistolotto di sessanta righe commentando la sentenza nei dettagli, discutendo l’operato dei pm e contestando la condanna come un giurista consumato, poi tu replichi “Ma del quadro indiziario che ne pensi?” e lui “Ho una stampa di New York in salotto , ma in generale preferisco le pareti vuote”. O anche “Oggi c’è stato l’incidente probatorio!” e lui “S’è fatto male qualcuno?”.

Il dietrologo-complottista.
E’ quello che entra nella discussione con la consueta domanda enigmatica “Ma non vi siete chiesti perché l’imputato ha quell’avvocato di grido?”. “No, perché?”. “Perchè l’assassino è il cugino del nonno dello zio del giardiniere di Alfano, lo sanno tutti!”. Oppure “Il vero assassino non era la madre ma il pappagallo indiano, solo che hanno trovato un falso colpevole per non pregiudicare il rilascio dei Marò”.

Il radicale elastico.
E’ quello che “per carità, io sono contrario alla pena di morte, contrarissimo, che cosa barbara, ma in questo caso…”. E “in questo caso” può essere qualsiasi cosa, dall’omicidio efferato di una donna alla soppressione di una scimmia con l’ebola, a seconda della sua sensibilità. E’ quello, insomma, che “Nessuno tocchi Caino finchè non girano le palle a me”.

Il giustiziere della notte.
Quello che prima di cena scrive un post di novantasette righe in cui giura che se qualcuno gli ammazzasse un parente, altro che carcere, lo aspetterebbe fuori dall’aula di tribunale e dopo aver esploso centoventuno colpi lo appenderebbe per le palle al lampadario, gli farebbe lo scalpo e darebbe in pasto il cuore agli avvoltoi. Poi la moglie gli dice “Apparecchia e pure di corsa!” e scappa lasciando il post a metà.

Il lontano parente.
Quello che lui la vittima la conosceva perché la consuocera aveva fatto la madrina al battesimo della sorella di lei. Ovviamente lei era una brava ragazza ma aveva uno sguardo un po’ triste, si vedeva che c’era qualcosa che non andava. Poi uno replica che bastasse una faccia triste per essere condannati a morte a quest’ora mezzo Pd sarebbe stato falciato e il discorso finisce in caciara, come sempre sul web.

Il coronista.
Quello che ormai qualsiasi cosa tu dica, da “Stasi s’è beccato sedici anni” a “Sai mica con chi gioca il Genoa domenica?”, lui replica indignato “E poi al povero Corona hanno dato 15 anni!”. Fabrizio Corona è diventato il parametro della giustizia mondiale. Il giorno in cui arresteranno il numero uno dell’Isis, lo porteranno a Guantanamo dicendogli “E ricorda che Corona è in carcere per molto meno”.

Morgan e l’abbandono

Il trend del momento e’ molto chiaro e si chiama “ripensamento”. L’Italia ci ripensa e convoca Balotelli, whatsapp ci ripensa e toglie la doppia spunta blu, Napolitano ci ripensa e lascia il Quirinale,  Morgan ci ripensa e lascia X factor. Che poi si sa, Morgan, di tutti i fatti elencati, e’  l’unica questione che tiene col fiato sospeso gli italiani. Siamo onesti: senza presidente della repubblica il paese va avanti, senza Morgan a X factor rischiamo di uscire dall’Europa.

Per chi avesse perso il momento topico, giovedì sera, durante la diretta di X factor, le cose sono andate più o meno così: Morgan assegna una ciofeca di canzone (“Il gioco del cavallo a dondolo” di Roberto De Simone) al suo gruppo, gli Spritz for five. Una canzone che alla terza nota provoca suicidi di massa in numerosi gruppi d’ascolto casalinghi creati ad hoc per seguire la diretta. Morgan dice che e’ sperimentazione, ma il dubbio e’ che sia lui ad aver sperimentato un nuovo fungo messicano. Non risulta neanche chiaro il perché decida di sperimentare con un gruppo che si chiama come un gioco aperitivo al villaggio Valtur di Otranto e non che so, “Dark indie monkeys”, ma Morgan ha le sue ragioni che la ragione non conosce e vabbe’.

Il gruppo, manco a dirlo, prende meno voti della Zanicchi alle europee e va al ballottaggio. A quel punto Morgan si gioca la seconda carta: i Komminuet. I due si’ che hanno il nome giusto per sperimentare e infatti Morgan a loro fa cantare “Je t’aime moi non plus” in versione pianola Bontempi, roba che andava bene per una rumba a Ballando con le stelle con Giulio Berruti e Samanta Togni, altro che sperimentazione. E infatti i Komminuet vengono votati solo da Paolo Belli e la sua band e anche loro vanno al ballottaggio.

Morale: si scontrano i due gruppi di Morgan in una guerra fratricida che i fratelli Muccino al confronto sprizzano affetto. Ed e’ così che Morgan si trova a decidere quale figlio sacrificare sull’altare degli ascolti. Butta fuori quelli col nome da cocktail, si alza in piedi e dà la ferale notizia: “Lascio x factor, vista la deriva che sta prendendo questo programma”. Rimane un attimo in piedi, sentendo incredulità attorno a se’.

Gli altri giudici fanno gli gnorri. Victoria si spela il vestito, Mika già che c’è ripassa i congiuntivi croati, Fedez si ricalca un tatuaggio con la penna a biro. E’ tutto in mano a Cattelan. E Cattelan, uno di quei conduttori che sanno cavalcare i momenti televisivi imprevisti con la disinvoltura di Andrea Pirlo in conferenza stampa, cosa fa? Niente. Tutti da casa sono li’ che fremono per sentire una domanda, una a caso, che so, sei sicuro? Perché non accetti la sconfitta? Non ti sembra di essere infantile? Vuoi un’altra Red bull? Come vai a casa? Ti chiamo un taxi? Insomma, che dica qualsiasi cosa pur di tenerlo li’ e invece Cattelan lo lascia andare e arrivederci. Anzi, dice solo: “io qui sono l’arbitro”. Ecco, in quanto arbitro, giovedì dopo la puntata ci voleva Moggi a chiuderlo in camerino e creparlo di mazzate per non aver saputo sfruttare la bomba mediatica dell’anno.

Cosa ne sarà di Morgan e’ mistero fitto. A voler ripercorrere la sua storia a X factor, in effetti ha annunciato che non avrebbe rifatto il programma almeno dieci volte. Una volta perché si era stufato della tv, una volta perché voleva incidere un disco, una volta perché Mika ha l’alitosi, una volta perché la Red bull era sgasata e così via. Tutto questo per poi tornare puntualmente all’ovile, umiliare gli avversari e ricominciare a dire che x factor e’ il male del secolo dopo l’ebola e il cane di Michaela Biancofiore che canta l’inno di Forza Italia.

Questa volta però il futuro appare più incerto. Conoscendolo, Morgan potrebbe tornare domani, potrebbe dire che da ora in avanti vuole elevarsi e poi andare in giuria a Italia’s got talent a dare voti al nano petomane, potrebbe dedicarsi alla musica lirica, al giardinaggio, allo studio delle scie chimiche o a quello delle sinapsi di Antonio Razzi. Quando si parla di Morgan, certezze non ce ne sono mai.

Fatto sta che il suo abbandono è comunque un sintomo piuttosto preciso di una strana malattia che ha colpito X factor quest’anno. Nulla che riguardi lo show in se’, che resta uno dei più belli e appassionanti della tv. Si tratta più di una mancanza di equilibrio in giuria, di un elemento mancante, di un ingranaggio meno oliato e fluido degli scorsi anni. Un Fedez troppo imbeccato e solista, una Victoria schiacciata da giganti egoriferiti, un Mika sempre superlativo ma senza interlocutori al suo livello, un Morgan che anziché battibeccare con Fedez, unico suo antagonista possibile, ha stretto col rapper una sorta di noioso e paraculo patto del Nazareno.

Insomma, manca quest’anno, una figura, anche anagraficamente, più autorevole, manca chi fa il padre padrone e la paternale, manca chi sa mettere in riga i tromboni alla Morgan, i saputelli alla Mika e i gggiovani alla Fedez con la competenza erudita e talvolta polverosa di Elio , il commento acido della Ventura o il vai a cagare di cuore della Maionchi. Manca quello che lascia giocare i ragazzi, ma se esagerano li mette in castigo nello sgabuzzino. Sono mancati disciplina e, ahimè, pure conflitto. Tant’è che alla fine Morgan non e’ esploso, ma e’ imploso. Ha finito per litigare da solo. Ha parlato di deriva, non di tsunami con i colleghi. E a conferma di ciò c’è il fatto che quest’anno il programma fa più ascolti ma la gara crea meno opinione, dibattito. I giudici sono tutti incredibilmente glamour e patinati ma si sporcano poco le mani e sono scarsamente amalgamati. Non c’è una giuria, ci sono quattro giudici “molto fighi”, come direbbe la Victoria. Fanno molte copertine, parlano di politica, d’amore, di punto croce e di zumba, ma c’è meno attenzione sulle dinamiche, sulla sfida, sui conflitti. La luce è su di loro, singolarmente, meno sui concorrenti.

Detto questo, nel giro di cinque minuti questo articolo si autodistruggerà perché Morgan nel frattempo avrà già stappato una lattina, si sarà seduto dietro al bancone di X factor come se niente fosse accaduto, avrà fatto esibire l’ultimo gruppo rimasto con “Vorrei avere il becco” di Povia versione acid jazz e naturalmente, avrà vinto anche l’ottava edizione di X factor.

Il caso Pistorius e i miei consigli a un aspirante femminicida

Il mio pezzo su “Libero”.

Sei maschio? Ne hai la scatole piene della fidanzata libertina o della moglie opprimente? Hai deciso che il divorzio ti costerebbe troppo? Ritieni che lasciarla vorrebbe dire buttarla tra le braccia di qualcun altro e il pensiero ti disturba? Sei un po’ fumantino e avresti voglia di liberare i tuoi istinti? Hai un paio di pistole che sono lì a far polvere e pensi che sia un vero peccato? Non preoccuparti, caro aspirante femminicida. Ieri è stato un gran giorno per te. Il caso Pistorius e il suo epilogo, ti forniscono una serie di preziosi consigli per far fuori la tua compagna e sfangartela con una condanna per omicidio colposo. In fondo, che differenza c’è tra l’ammazzare una vecchietta sulle strisce pedonali mentre si abbassa il volume del cd di Molella e l’accoppare la fidanzata con quattro colpi di pistola?

E allora, mio caro aspirante femminicida, ecco la lista di consigli utili per compiere il femminicidio perfetto:

1) intanto, se non la possiedi già, procurati una pistola. Non importa che te la procuri legalmente, tanto se poi finisci per sparare puoi sempre dire che vivi in una città pericolosa. Lo so che magari non vivi a Johannesburg come Pistorius, ma pure Roma, Napoli e Milano sono città pericolose e comunque puoi sempre mettere in mezzo zingari e marocchini, dire che ci sono stati furti in ville nella tua zona, dire che avevi paura dei ladri, di Equitalia, di Darth Vader, vedrai che chiuderanno un occhio. Magari modificala pure, come ha fatto Pistorius, che la pistola se l’era fatta esplodente, a punta cava, giusto perchè l’arma era una necessità, mica una passione.

2) Visto che ormai la pistola ce l’hai, non tenerla chiusa nel cassetto assieme al Momendol e al telecomando del ventilatore. Non ti limitare a tenerla lì nel caso un malintenzionato ti entri in casa. Fa come Pistorius, portala anche alle cene con gli amici. Lui, prima di uccidere la fidanzata, aveva sparato in un ristorante tanto per esplodere l’ultimo colpo in canna, tu puoi sempre far fuori Cracco se il controfiletto è troppo cotto o accoppare un bambino troppo rumoroso, che mi pare pure un utilizzo pure più efficace, anzichè sparare in aria come un Balotelli qualunque.
3) Se hai ex fidanzate che ti ricordano come un uomo violento, non preoccuparti. Non preoccuparti neppure se anche con la tua ultima fidanzata, quella che vuoi far fuori, il rapporto è burrascoso. Il giudice Thokozile Masipa ha detto chiaro e tondo che “i rapporti sono dinamici, non me la sento di giudicare”. Capito? L’ex fidanzata di Pistorius (quella prima di Reeva) gli nascondeva la pistola sotto al letto non perchè temesse di essere crivellata, ma perchè i rapporti sono dinamici. Le continue liti tra Pistorius, gelosissimo, e la sua fidanzata, non potevano rappresentare un movente ma la spia di una dinamicità della coppia. Non esistono rapporti violenti, ma solo dinamici. Magari posta la frase su fb e attribuiscila a Barbara Alberti, alla Boldrini o a qualche altra paladina dei diritti delle donne, nessuno se ne accorgerà. L’ha detta un giudice donna, va bene. L’avesse detta un uomo, l’avrebbero appeso per le palle sul monumento più alto di Pretoria.

4) Riguardo i vicini di casa, stai sereno. Non importa che siano miti signore o una normalissima coppia di coniugi, come nel caso Pistorius, anzichè due mitomani appurati. Anzichè Gabriele Paolini e Marika Fruscio. Non importa che dicano, come nel caso Pistorius, di aver udito chiaramente le liti, le urla della vostra fidanzata, gli spari e voi che gridavate help help help. Gli avvocati trovano sempre tesi convincenti per sostenere l’innocenza del proprio assistito. Quello di Pistorius, per esempio, disse alla testimone che in realtà lei udì sempre e solo la voce di Pistorius, il quale quando grida emette degli acuti “molto femminili”. E’ negli atti, mica sto inventando. E alla fine il giudice ha stabilito che i vicini in fondo possono aver fatto un po’ di confusione. Quindi, mio aspirante femminicida, fa un bel corso da soprano e vedrai che con la storia della voce da castrato, riuscirai a far passare i vicini per matti e te stesso per la nuova Conchita Wurst, altro che assassino.

5) Qualcuno, come per Pistorius, dirà che sei sempre stato un po’ incazzoso, che avevi un atteggiamento vessatorio con le donne, che eri rissoso pure nel bar sotto casa. Tu giocati la tua faccia da bravo ragazzo come Pistorius in aula. Piangi come un agnellino, vomita. Pure Parolisi vomitò ininterrottamente dopo aver ammazzato la moglie Melania, è vero, ma per tutti sarà un chiaro indizio di sensibilità e sofferenza.

6) Cerca di contraddirti parecchie volte. Sii evasivo. Il giudice dirà, come nel caso di Pistorius, che sei stato un cattivo testimone e che ti sei contraddetto, ma questo curiosamente ti renderà un imputato attendibile, visto che alla fine si crederà alla tua versione e non a quella dei vicini di casa cazzari.

7) Ora, lo so che questo consiglio ti sembrerà bizzarro, ma devi fare in modo che la tua fidanzata, alle tre di notte, si chiuda nel bagno mentre tu, affetto da licantropia, sei sul terrazzo a rimirare le fasi lunari. A questo punto, rientrando in casa dopo un paio di ululati, potrai affermare di aver udito dei rumori dal bagno. Dì che pensavi fossero dei ladri. Sì, lo so che c’è un piccolo particolare e cioè che la tua fidanzata non è più nel suo letto e quindi non si capisce perchè tu non abbia pensato più a una colica della tua fidanzata che a un serial killer dietro la tenda doccia, ma fa nulla. Tu afferra la pistola e senza neanche chiedere “chi è?”, prendi e spara quattro colpi di pistola ad altezza uomo. Se trovi il giudice giusto, come nel caso Pistorius, potrai sempre sostenere che non solo non sapevi che dietro la porta ci fosse la tua fidanzata, ma pure che non volevi uccidere. Peccato che il giudice non abbia chiarito cosa volesse fare Pistorius, se non uccidere, perchè sarei stata curiosa di conoscere la sua tesi: fare delle prese d’aria per gli odori nel bagno sulla porta? Ammazzare una blatta? Ammazzare la porta?

8) Dì che la amavi, la tua fidanzata. Dì le stesse cose che ha detto Pistorius. Che eravate sereni, che quella sera tu vedevi la tv mentre lei faceva yoga, pure se il sospetto è che lo yoga in realtà avrebbe fatto meglio a te.

9) Se ti dice bene come a Pistorius, ti beccherai una condanna per omicidio colposo. In pratica ti daranno del negligente, ma non dell’assassino. In pratica sarai assolto moralmente e passerai per uno che contrasta la criminalità con maniere un po’ forti. Chissà che tu e Pistorius non finiate per fondare un partito con Borghezio.

10) Infine, mio caro aspirante femminicida, se solo somigli un po’ a Pistorius, confida nel tuo status di maschio bianco, famoso, con una scia di eroicità alle spalle. Confida anche un po’ nella fortuna. C’era un bel film di Woody Allen, “Match point”, in cui alla fine l’assassino – bravo ragazzo, integerrimo, ricco e di successo- se la sfanga per un banale colpo di fortuna. Il suo era un barbone che finisce nei guai al posto suo. Il tuo colpo di fortuna, il tuo “macht point”, potrebbe essere il giudice giusto, come nel caso di Pistorius. Un giudice donna che non crede al femminicido, ma alla dinamicità dei rapporti.

E ora scusate ma stasera il mio nuovo fidanzato cena da me: vado a scardinare la porta dal bagno di casa, non si sa mai.

“Cara Maria Elena Boschi”

Cara Maria Elena Boschi, è un po’ che ci penso. Tu torni a casa la sera dopo aver discusso di emendamenti e trovi il salotto vuoto e una tazza di latte da intiepidire nel microonde. Io torno a casa la sera e dopo aver discusso con mio figlio dell’assoluta superiorità di Godzilla su King Kong, lo metto a letto e mi faccio una tazza di tè verde. Sola. Tu indossi il tacco 12 pure per firmare l’incarico da ministro, io lo indosso pure per firmare l’ordine del giorno alla riunione di condominio. Tu sei lì che lotti con le riforme e io con le forme e in questo senso si preannuncia un’estate faticosa per entrambe. Insomma Maria Elena, io c’ho riflettuto abbastanza e sono giunta ad una conclusione: io e te dovremmo fidanzarci. È questa la vera riforma che s’aspetta il paese, altro che Senato.

Mesi e mesi di chiacchiere sulla politica renziana delle quote rosa e dei diritti al mondo gay e da te ancora nessun segnale di reale adesione alle idee del partito. Sarebbe ora di cominciare con le riforme, radicali, nella tua vita privata e zittire quella combriccola di detrattori che ti descrive come una figurina sbiadita. Fidanziamoci Maria Elena, e altro che figurina sbiadita, tu mi diventerai il Pizzaballa della politica italiana. Lo so che tu non sai neanche chi sia Pizzaballa, Maria Elena, ma non temere, da ora in avanti ci sarò io anche per questo. Basta citazioni polverose. Basta con quest’aria da maestrina che ripete la lezione. Io sarò la tua svolta pop. La prossima volta ti faccio citare Boskov, altro che Fanfani. Anche perchè «In politica le bugie non servono!» non era neanche un granchè come citazione, diciamocelo. Vuoi mettere un boskoviano «penso che tua testa buona solo per tenere cappello!» assestato a Beppe Grillo nel momento giusto? O un destabilizzante: «Chi ha sbagliato, Pagliuca?» durante le contestazioni che subisci alla Camera?

E poi Maria Elena, c’è bisogno di una donna accanto a te perchè tu devi pensare alla politica, devi lavorare con calma, non puoi entrare da Zara a cinque minuti dalla chiusura perchè magari hai l’aereo per l’Africa che ti sta per partire e prendere tutto quello che di blu elettrico trovi accanto alle casse. Hai bisogno di una donna accanto che ti dica no alle giacche fucsia con le spalline a sbuffo. Hai bisogno di no categorici ai jeans slavati stretti sulle cosce, che tu mi sei ostinata come la Pausini e insisti sull’aderente. Hai bisogno di una consulenza seria sulla scarpiera perchè va bene il tacco 12, ma quel tacco 12 fantasia animalier potrebbe far cadere un governo, altro che riforme. E poi no, il reggiseno nero che si intravede sotto l’abito da sera rosso no. Ti ci vuole una donna che sappia maneggiare ago e filo e ti dia due punti alla spallina. Casini ti manda i pizzini e fa il piacione, ma al massimo quello con un ago ci si toglie la spina di un riccio dal piede a Porto Ercole.

So anche che vuoi tre figli. L’hai dichiarato tu. Ti faccio due calcoli Maria Elena. Hai 33 anni. Se vuoi tre figli in una decina d’anni ne dovresti sfornare uno ogni tre a partire da ora. Considerato che i tempi per votare ogni singolo emendamento saranno quelli della costruzione del Partenone, tu avrai tempo di figliare alla vigilia dei tuoi 96 anni e certe cose riescono solo a Carmen Russo o a Brooke Logan. Che poi tu hai quella conformazione fisica per cui dopo tre gravidanze mi ti inchiatti, io lo so già, e io non voglio. Desidero preservare la tua angelica bellezza. E allora anche qui Maria Elena intervengo io. I figli li faccio io. Uno ce l’ho già per giunta, per cui ci saremmo già portate avanti. È grillino, ma magari gli facciamo conoscere Rocco Casalino e sono certa che cambierà idea. Tu sforni riforme e io figli. Matteo farà il padrino a tutti i battesimi purchè prometta di non trafugare le offerte della chiesa, che i fondi per la manovra finanziaria se li andasse a cercare altrove. Saremmo modernissime.

E poi Maria Elena, non mi dire che circondata come sei da quelle donne tristi piazzate dal buon Matteo col parametro «Margherita Buy», ovvero se non hanno la faccia da «M’è finito il prozac» non ce le voglio, non hai bisogno di una presenza femminile più fresca e radiosa accanto a te. Non dirmi che quando guardi la Madia e la sua aria pre-raffaellita e pre-mestruo, non ti prende il male di vivere. Tu hai bisogno di me Maria Elena. Il nostro amore metterebbe a tacere i pettegolezzi, le malelingue.

Saremmo Ellen Degeneres e Paola Concia ma senza acconciature da marines. La Giaguara e la Selvaggia. Un carica erotica ed esotica da fare invidia al paese intero. Saremmo felici. Saremmo spiazzanti e credibili. Saremmo autorevoli. Nessuno direbbe più che sei troppo carina per essere comunista. Nessuno direbbe che ho troppe tette per scrivere. E poi insomma, ora che la D’Amico è lì in barca che si rotola con Buffon e le leggende saffiche su di lei sono definitivamente tramontate, bisogna pur regalare al paese un sogno: quello di una nostra larga, larghissima intesa. Pensaci Maria Elena. Io dico che a questa riforma voterebbero tutti sì. E Vito Crimi non ci dormirebbe un paio di notti, al pensiero di noi due che emendiamo.

Sollecito, Amanda e gli scherzi della memoria

La memoria gioca davvero un sacco di brutti scherzi, quando si tratta di ricordare fatti, orari, nomi che potrebbero aiutare a trovare il colpevole di un delitto. O a consegnare a una storia, a dei familiari, a una morte, almeno la consolazione della verità. La Franzoni, secondo un giudice, avrebbe rimosso l’omicidio del figlio, cristallizzato in una falsa memoria. Non è che non abbia commesso il fatto, non è che menta, semplicemente non ricorda. Il presunto assassino di Yara, in compenso, ricorda cosa ha fatto una sera qualunque di quattro anni fa, quella dell’omicidio della tredicenne. “Avevo il telefono scarico, l’ho ricaricato la mattina dopo”. Capito? Noi non ci ricordiamo cosa abbiamo mangiato ieri e c’è gente che si ricorda quante tacche aveva la sua batteria 48 mesi prima. Sua madre poi, non ricorda addirittura di aver avuto una relazione extraconiugale con un autista di corriera e accusa la scienza di giocare al Piccolo Chimico. Del resto, capita di dire “Scendo alla prossima” e di ritrovarsi incinta di due gemelli, mi pare evidente. E comunque, anche se accade, si può sempre non ricordare, come di obliterare.

E infine c’è Raffaele Sollecito. Che dopo sette anni dall’omicidio della povera Meredith, tre processi (condannato-assolto-condannato) e un’infinità di dichiarazioni a stampa, avvocati, pm e perfino un confronto da bar con Vittorio Feltri in cui la schiacciante prova della sua non colpevolezza divenne “la scarsa avvenenza di Meredith”, ha deciso che ecco, a pensarci bene, non ricorda con tanta chiarezza quello che è avvenuto quella sera. E attenzione, non è che sia deciso a cambiare versione. Non scherziamo. E’ uno coerente lui. Solo che mentre per sette anni ha giurato e spergiurato di non aver potuto uccidere Meredith perchè quella sera era a casa sua con Amanda e quindi lui e la sua ex fidanzata erano inequivocabilmente, insindacabilmente innocenti e con un alibi di ferro, ora, a pochi mesi dalla sentenza della Cassazione, la sua memoria ha un guizzo improvviso. Lui sì, era a casa sua, ma Amanda no. Lei non c’era. E se c’era, non se lo ricorda. E se se l’è ricordato fino ad oggi, udite udite, è perchè era innamorato di lei. L’aveva sempre sostenuta in virtù del sentimento che lo legava ad Amanda, in virtù di una sorta di sudditanza psicologica nei confronti della bella studentessa. Ora però quella dipendenza si sarebbe finalmente spezzata grazie al nuovo amore di Sollecito, una hostess di nome Greta. E viene indetta una conferenza stampa per farcelo sapere. Una conferenza stampa dopo sette anni e tre processi per farci sapere come sono andate davvero le cose quella notte, almeno in casa Sollecito. Perchè lui è difeso da Giulia Bongiorno, mica da un praticante di Giovinazzo e gli avvocati di grido sanno che se Amanda va scaricata e mollata sola col suo caschetto biondo e il suo alibi zoppicante, bisogna che l’annuncio sia d’effetto, mica si può sussurrare in un’ aula di tribunale. Insomma, per conoscere la verità su questa storia, non servivano anni di indagini, innocenti finiti in carcere, sentenze, cassazioni, processi da rifare, periti, dna, impronte, testimonianze, luminol. No, serviva una fidanzata nuova per Sollecito. Dove non sono arrivati i pm, dove non è arrivato il Ris, dove non è arrivato neppure il potere persuasivo del carcere, ovvero alla verità (quella di Sollecito, sia chiaro) , è arrivata una hostess di 20 anni. Che deve avergli detto qualcosa come: “Ora basta con questa Amanda, pensa ai fatti tuoi”. Che si è fatta portare mano nella mano a vedere la villetta in cui s’è consumato il delitto. Insomma, Sollecito sarebbe colpevole non di un omicidio, ma dell’omicidio della sua virilità. Non sarebbe stato un killer, ma un burattino nelle mani di una donna bionda, avvenente, straniera. In fondo, quanti uomini sono vittime di sudditanze psicologiche operate da individui di sesso femminile. Quanti uomini lasciano che la fidanzata decida al posto loro il colore della macchina, il luogo delle vacanze, il nome dei figli o un alibi da fornire agli investigatori con un omicidio di mezzo. E così, i legali di Raffaele chiederanno l’assoluzione . O al massimo, la derubricazione da concorso in omicidio a favoreggiamento. Del resto, inzerbinirsi non è reato. E come hanno detto i legali di Sollecito: “Ora Raffaele penserà esclusivamente a se stesso”. Già. Ora penserà a se stesso. Prima pensava ad Amanda. Viene da pensare che l’unica a cui non ha mai pensato sia proprio Meredith.

La Seredova va in Brasile, Buffon porta ancora la fede e la D’Amico fa la gnorri

Il mio articolo su Libero:

Lo confesso: a me il triangolo Buffon/Seredova/D’Amico sta creando non pochi complessi di inferiorità. E non perchè il più basso dei protagonisti è comunque alto quanto Kobe Bryant con me a cavalcioni, ma perchè il buonsenso, l’equilibrio, la pacatezza dei tre nel gestire la situazione è una roba da manuale e io i manuali, di fronte a conflitti di natura sentimentale, li ho sempre lanciati in testa a qualcuno. Specie quelli sopra le quattrocento pagine. Nulla, del resto, in questa faccenda è clichè. Tutto, al contrario, capovolge le nostre poche granitiche certezze: gli uomini non mollano le mogli. Le ex mogli fanno delle guerre agli ex mariti che la Cambogia al confronto è un tè con le amiche. Le soubrette scelgono di vivere con pudore e profonda riservatezza il dolore del divorzio parlandone solo con chi può capirle davvero: Alfonso Signorini. E infine, le conduttrici radical chic si fidanzano con un un manager d’azienda o con Alain Elkann, mica con un calciatore. E invece qui c’è un uomo che lascia eccome la moglie per un’altra e senza neanche starci a pensare un granchè, una Seredova che non parla con i giornali e la D’Amico- una sobria, colta, preparata- che come una Melissa Satta qualunque si fidanza con un calciatore. Che s’è comprato il diploma come il Trota, per giunta. Continua

Veronica Lario vs Alfonso Signorini

Partiamo da un presupposto: Veronica Lario mi è simpatica, Alfonso Signorini decisamente meno. E lo premetto perché la dietrologia da bar è lo sport nazionale e non ho alcuna voglia di passare per tifosa di Alfonsina la pazza (cit. Dagospia). E però, con sommo dispiacere, nella vivace diatriba sulle foto pubblicate da “Chi” in cui si documenta con impietosa bastardaggine il sovrappeso della signora Lario con conseguente reazione piccata di lei, mi tocca dar ragione ad Alfonso. Sia chiaro. Certo che Signorini deve aver goduto parecchio, quando si è trovato davanti un bel servizio fotografico in cui risultava inequivocabile il fatto che dei 47 mila euro al giorno di alimenti la Lario non butta via niente. Certo che se gli arrivassero sulla scrivania le foto di Marina Berlusconi con le culotte de cheval o della Pascale con gli avvallamenti post-nubifragio sulle cosce, darebbe ordine di ripulire l’ufficio col napalm. Ma parliamoci chiaramente, tutti i direttori di tutte le riviste di gossip e non solo, hanno amici, amiche, padroni, equilibri, compromessi e in alcuni casi anche parenti con cui fare i conti. E molti di questi compromessi sono di natura politica, non nascondiamoci dietro a un dito. Al limite, dietro un pareo, se non vogliamo mostrare al mondo la nostra cellulite. E che il giornale di Signorini sia da sempre un trionfo di omaggi e lisciate e ripicche e piccoli e grandi regolamenti di conti, oltre che del semplice, banale gossip, non mi pare una gran novità. Così come non mi pare una novità nella storia del gossip mondiale, il fatto che la foto del personaggio imbruttito, ingrassato, invecchiato, cellulitico, drogato, ubriaco o denudato, faccia gola a chiunque abbia a che fare con quello spauracchio denominato “invenduto”.

Queste benedette foto della Lario non erano neppure così crudeli, a dirla tutta. Un paio di anni fa Novella 2000 pubblicò un servizio fotografico della signora in costume a Formentera e onestamente mi sembrarono ben più impietose quelle foto lì. Novella però non è un giornale vicino a Berlusconi e nessuno, per prima la signora Lario, parlò di macchina del fango. Nessuno ci vide chissà quali manovre per screditare la signora, per toglierle dignità o privarla del sacrosanto diritto di invecchiare come le pare e piace. Nessuno, né le Aspesi, né l’agguerrito stuolo di giornaliste militanti così attente alle questioni femminili, s’è mai indignato per le foto (terribili) della Merkel in costume a Ischia in cui il premier tedesco non pareva proprio la Bundchen sulla copertina di Sport Illustrated, delle celluliti della Santanchè, delle Fornero, della signora Prodi. Nessuno, s’è mai indignato per le panze di Grillo in Sardegna, di Berlusconi in Kenya, di Renzi all’isola del Giglio in cui sembrava che gli ottanta euro li avesse spesi cinque minuti prima al Burger King. Perciò io voglio dire una cosa alla signora Lario. Rompere la sua proverbiale (e apprezzabile) riservatezza per difendersi da qualche innocua foto in cui si documentano i suoi cinque chili di troppo (anche quando è evidente che il direttore non le ha riservato le stesse attenzioni che alla Pascale) , è un segno di debolezza. E’ il segno che questo legittimo diritto che lei rivendica -quello di invecchiare come le pare- non è vissuto con quella cosa che tutte le donne non dovrebbero mai perdere, quando cominciano a perdere di elasticità: l’autoironia. La leggerezza, anche quando tanto leggere non lo si è più. Signora Lario, è quando il sedere si abbassa, che l’umore va tenuto alto. Di fronte a quattro scemenze su quanto si sia allargato il suo girovita, poteva rispondere “Con l’età a me si allargano i fianchi e a Signorini s’allunga la lingua, ognuno hai i suoi crucci”. E i suoi argomenti, se lo lasci dire, sono stati deboli. E’ vero che il suo ex marito controlla i giornali di sua proprietà, ma anche lei ha i suoi giornali e giornalisti amici. Non è esattamente una donna sola nell’infernale macchina dell’informazione. I quotidiani le pubblicherebbero anche l’agenda dei suoi massaggi linfodrenanti, se solo lo chiedesse. E poi suvvia, sostenere che lei non sia un personaggio pubblico è fantascienza. L’unico elemento della famiglia Berlusconi che non ha scelto di diventare un personaggio pubblico è Dudù e tra un po’ fonderà un partito pure lui. E poi insomma, diciamola tutta signora Lario. A nessuno piace finire sui giornali fuori forma, senza trucco, senza un vestito decente, ma invecchiare sereni, anzi, campare sereni, vuol dire fregarsene, non rivendicare il diritto di non apparire su un giornale se non al meglio della propria forma fisica. Perché di sue foto ne sono uscite decine, centinaia negli ultimi anni e non mi risulta che la reazione sia stata così piccata. Molte sue foto, negli anni, sono state anche generosamente ritoccate e non mi pare che lei abbia chiesto di risparmiarle photoshop per poter esercitare il diritto di invecchiare con onestà e liberamente. Anche la sua reazione nei confronti dei consigli del chirurgo su “Chi” mi pare spropositata. Sicura che dal chirurgo lei proprio non ci abbia mai messo piede? Sicura che due scemenze su come evitare di metter su pancia dopo i cinquanta siano un pessimo esempio per le sedicenni? Non è che magari è un esempio peggiore per le sedicenni una copertina di Vanity Fair in cui sua figlia Barbara sembra Miranda Kerr anziché la ragazza carina e un po’ paffuta che tutti conosciamo?

Lei mi piace signora Lario. E mi piace molto. Ma mi dia retta: non scopra il fianco in questo modo. E non perché il fianco non è più quello dei vent’anni, ma perché l’ironia, non il livore, è il modo migliore per invecchiare sereni. E per liquidare chi pensa di farle un dispetto pubblicando le sue foto peggiori. Detto questo, smetta di occuparsi della macchina del fango, si faccia due fanghi Guam e sorrida, che io ci metterei la firma ad arrivare ai sessanta col suo girovita.

(da Libero)