Navigate / search

Montenegro e Dalmazia, tanti anni fa

Per raccontarvi le mie vacanze di quest’anno e il perché proprio li’, devo partire da lontano. Dal 1991. L’anno in cui feci un viaggio tra Montenegro e Dalmazia con i miei genitori. Un viaggio bellissimo tra Budva, Sveti Stefan, Dubrovnik, bocche di Cattaro, Cetinje. Avevo 17 anni e io li’ con i miei genitori non ci volevo andare. I miei amici erano in vacanza in Italia e in posti che mi sembravano più divertenti e avevo protestato vivacemente. 

 

23 anni fa il Montenegro per la maggioranza degli italiani era un amaro o forse una cima poco conosciuta. Oggi a Budva ci comprano casa le star americane e i russi. Il 1991, non potevo saperlo, non era un anno qualunque per la ex Jugoslavia. Ma non eravamo io e i miei 17 anni a essere ignoranti. Lo era quasi tutto il mondo. Lo erano i miei genitori che pure sono persone di cultura, mica sprovveduti.

 

Nel luglio del 1991 stava per scoppiare una delle guerre più oscene della storia recente. E non solo recente. Il mondo era distratto o forse solo incapace di leggere la complessità storica di quel paese, il miscuglio di razze, il miracolo della pace, artificiale, compiuto da Tito, il pericolo rappresentato da Milosevic, l’onda nazionalista che stava montando. Ricordo che appena scesi dal traghetto a Bar, una piccola cittadina vicino Budva, ci fermammo in un supermercato per comprare del pane prima di raggiungere il nostro villaggio vacanze.

 

Li’ ho imparato la prima lezione. L’odore della guerra imminente si respira nei supermercati. Davanti ai nostri occhi si paro’ davanti uno spettacolo deprimente: scaffali completamente vuoti, qualche commesso che si aggirava per il supermercato come un fantasma, un uomo anziano dietro a un banco frigo su cui era esposto in grosso pezzo di carne violacea ricoperta di mosche. Eravamo basiti. Non capivamo. Uscimmo da li’ con l’unica cosa che trovammo in uno scaffale solitario: un pacco di wafer alla crema sbriciolati come se sopra ci fosse passato sopra un cingolato.

 

Il villaggio era spartano, gigantesco, pieno di tedeschi, neanche un italiano. Il clima era spensierato e allegro come in un qualsiasi posto di vacanza a luglio, ma quello che avevamo visto al supermercato era quello che più o meno ci aspettava anche li’. Gli unici posti in cui si trovava del cibo nel villaggio erano una pasticceria che aveva solo delle paste bianchicce poco invitanti e una specie di chioschetto sulla spiaggia che cuoceva della carne macinata dall’aspetto ripugnante. Dopo 2 giorni di fame , nessuno si chiedeva più cosa ci fosse di macinato li’ dentro ma io il sospetto di aver mangiato qualche animale domestico ce l’ho ancora. C’era un tizio che si aggirava con un pentolone pieno d’acqua, un’acqua torbida e piena di insetti che ci galleggiavano, in cui se ne stavano a mollo delle pannocchie di mais. Finimmo per mangiarci anche quelle. E finimmo anche a letto tutti quanti con un’allegra dissenteria. Fuori c’erano i ristoranti, da qualche parte si mangiava un po’ di pesce. L’alternativa erano delle pizze gialle, cucinate con la farina di mais, che a noi sembravano una cena da Cracco.

 

Vi racconto questo, non perché rischiammo di morire di fame o perché fu chissà quale disagio. Ve lo racconto perché per noi, inizialmente, fu l’unico segnale strano. L’unico indizio di una qualche anomalia di cui ci sfuggiva il senso. Poi cominciammo ad andare in spiaggia, in quelle spiagge meravigliose del Montenegro, e dopo qualche giorno iniziarono ad accadere fatti surreali. Famiglie, ragazzi, signore, una volta capito che eravamo italiani, si avvicinavano al nostro ombrellone e cominciavano a familiarizzare. Venivano da città diverse che all’epoca erano città di quel paese che ancora per poco si sarebbe chiamato Jugoslavia. La faccenda bizzarra è che non volevano fare amicizia o scambiare due chiacchiere. No. I ragazzi volevano sposarmi. I genitori dei ragazzi volevano che sposassi il loro figlio. Signori distinti ci chiedevano di aiutarli a venire in Italia a lavorare. Persone perbene, anche benestanti, mica brutti ceffi. Persone che mai, apertamente, pronunciarono la parola “guerra”.

 

Noi, in quei 20 giorni, non sentimmo mai dire a nessuno che aveva paura, che stava per accadere qualcosa di spaventoso, che voleva scappare. Noi, infatti, all’inizio non capimmo. Trovammo tutto molto buffo. Ragazzini di 18, 19 anni che giocavano mezz’ora a racchettoni con me e che dopo due giorni si presentavano con i genitori per chiedermi in moglie. Che mi chiedevano di venire con me in Italia . Ricordo un ragazzino alto e secchissimo di Novisad. Ricordo Sale, biondo e bellissimo, di Sarajevo. Ricordo il figlio di un dentista, un ragazzo bosniaco colto e brillante, che voleva convincermi di essere la ragazza della sua vita. Ricordo suo padre, un signore distinto, che sotto l’ombrellone quasi implorava i miei genitori di aiutarlo a trovare un lavoro in qualche studio dentistico. Cominciammo a capire. Ero un’adolescente carina, si’, ma non così carina da provocare simili turbamenti. Quella gente voleva scappare da qualcosa.

 

I giorni passarono, Dubrovnik era piena di stranieri, ricordo che quando arrivai lì dopo un lungo viaggio in macchina, pensai che fosse la città più bella che avessi mai visto. Poi tornammo a Budva. Io mi trovai un fidanzatino. Si chiamava Milos, aveva 17 anni ed era di Belgrado. Milos Rakic. Diceva di giocare a calcio nella primavera della Stella Rossa. Io parlavo male l’inglese, ma lui era un ragazzino gentile e simpatico e ci capivamo con molti sorrisi, molta pazienza e qualche bacio. Non voleva sposarmi. Ai miei non piaceva. “Proprio con un serbo!”, diceva mia mamma scherzando. Io del serbo mi ero innamorata perdutamente. Lui non mi disse mai nulla delle cose strane che notavo intorno a me e io non domandai nulla. Avevo quasi 17 anni e la parola guerra non faceva parte del mio vocabolario. Quando ripartii fu una tragedia. Ricordo il viaggio in traghetto per Bari. Sul cuscino di quella cabina angusta piansi tutte le lacrime di un’adolescente media. Avevo il suo indirizzo. Mi ricordo ancora. Milos Rakic, Svetolika Rankolica.. E non so cosa. Belgrado.

 

Ci scrivemmo. Lui mi chiamava a casa ma io mi vergognavo di parlargli al telefono perché il mio inglese, senza i sorrisi e i baci a riempire i silenzi e i momenti in cui proprio non ci capivamo, mi imbarazzava. Dicevo a mia mamma di dire che ero fuori. Una volta, tornata da scuola, il Tg parlo’ di Vukovar. Parlo’ di guerra in Jugoslavia, anche se già ad agosto, ad appena un mese dal nostro ritorno in Italia, i giornali raccontavano una situazione tesa in Croazia, che già aveva tentato la strada dell’indipendenza. A ottobre, nei fatti, inizio’ la guerra. Scrissi una lettera a Milos chiedendogli di spiegarmi cosa stesse accadendo nel suo paese. Milos era serbo e la Serbia, spinta dalla follia di Milosevic, aveva appena iniziato quella che poi divenne una guerra orribile tra genocidi, massacri, stupri e pulizia etnica. Gli dissi che ero preoccupata. La sua risposta mi gelò: “Sono cose troppo complicate perché tu possa capirle, mi spiace”. Io ci rimasi male. Sentii che avevo fatto la domanda sbagliata. O che forse Milos non era più il ragazzo spensierato che avevo conosciuto su una spiaggia di Budva. Poi ci fu il bombardamento di Dubrovnik, la città più bella che avessi mai visto. Io e i miei guardavamo le immagini in tv e mettevamo insieme i pezzi. Il dentista. Le proposte di matrimonio. Gli scaffali vuoti. Loro sapevano. Sapevano che li’ la guerra non solo sarebbe arrivata, ma che avrebbe trasformato in nemico il proprio vicino di casa. Che da li’ bisognava solo scappare. Che l’orrore era alle porte. Milos smise di scrivermi e io di aspettare sue lettere. Poi mi fidanzai. Ma per anni, guardando le immagini di Sarajevo, la strage al mercato, le fosse comuni di Srebrenica e infine i bombardamenti su Belgrado, io pensai sempre a quel ragazzino gentile. Serbo. Mi sono sempre chiesta che fine avessero fatto lui, il ragazzo di Novisad, il figlio del dentista, Sale il bello. Ho pensato che forse non erano neanche più Milos e Sale ma il serbo e il bosniaco. Chissà se loro erano ancora convinti di essere due amici che avevano giocato a pallone su una spiaggia o avevano finito per spararsi addosso. Non l’ho mai saputo e mai lo saprò.

 

Negli anni ho provato a cercare Milos sui social ma Milos Rakic in Serbia e’ come dire Mario Rossi In Italia. E allora amici, da qui parte il mio viaggio che inizia oggi. Da lontano, come avrete capito se avete avuto la pazienza di leggere questa lunga storia, che ho dovuto anche riassumere perché era piena di particolari che si sono svelati col tempo.

 

Di quella guerra so tutto. Negli anni ho studiato. Ho visto servizi, film, documentari. Ho perfino scovato su youtube un video in cui la Gabanelli , in piena guerra, si fece portare in macchina da Arkan, lo spietato Arkan, in un luogo in cui furono massacrati decine di bambini. Una Gabanelli sconvolta. (Che poi forse erano stati massacrati dallo stesso Arkan per ragioni di propaganda, oppure dai musulmani, come le racconto’ lui, chissà) . Non ho mai smesso di informarmi.
E allora quest’estate ho detto a Leon “Andiamo!”. Lui è scettico perché è piccolo ed è giusto che ora non capisca, come non capii io all’epoca. Dice che quando gli chiedono dove andiamo in vacanza non si ricorda mai il nome del posto. Ma sono certa che quando saremo li’ e ascolterà questa storia e vedrà Mostar e quel ponte e Sarajevo, il tunnel della memoria e tutto quello che quei posti vorranno raccontarci, qualcosa dentro gli rimarra’. E quel qualcosa non è la guerra. E’ , spero, la rinascita. E’ il costruire sopra le macerie. Vedremo Sarajevo viva, durante i giorni del festival del cinema e Mostar con i ragazzi che faranno i tuffi da quel ponte. Quel ponte bombardato e poi ricostruito, che divenne un simbolo di quella guerra infame. Vedremo posti che sono rinati dopo tanta sofferenza e li vedro’ senza nostalgia dei mari cristallini per cui ci sarà tempo (anche un po’ di tempo a Spalato tra uno spostamento e un altro) e molte altre estati.

 

E’ un regalo, questo, che mi faccio. Un regalo a Milos che mi disse “non puoi capire” e aveva ragione. Un regalo a quella gente che veniva a chiederci aiuto sotto l’ombrellone e che noi non potemmo aiutare. Un regalo a Leon, che un giorno forse capirà, come ho capito io dopo tanti anni e qualche mugugno di troppo. Un regalo alla vita. Buone vacanze amici. Noi qui non mancheremo di tenervi aggiornati. Fate un tuffo anche per noi!

Comments

Daria
Reply

Vissi la stessa esperienza a Brac in Croazia, ricordo i proprietari di questa splendida pasticceria scavata nel marmo bianco di Pucisca ( nel mio caso però il cibo era ancora presente, in abbondanza e squisito), in cui andavamo tutte le mattine a fare colazione, che uscirono un giorno con una valigia piena di soldi per comprare una lavatrice: ormai il dinaro era ad un livello di svalutazione inquietante, hanno cercato per tutta la vacanza di convincere mio padre a promettermi in sposa al figlio e di li a breve anch’io avrei scoperto l’orrore della ex Jugoslavia. Tornai molti anni dopo in Serbia per lavoro nell’ex stabilimento della Zastava rilevato da Fiat: la fabbrica di Kragujevac era fatiscente, i vetri portavano ancora i segni dei bombardamenti, all’ingresso c’erano le foto delle persone che erano morte al suo interno e anch’io ho ripensato a quella famiglia di pasticceri e mi sono chiesta se avessero già capito ai tempi quello che sarebbe accaduto, ormai di questa guerra non si parla quasi più purtroppo, trovo sacrosanto che ne venga conservato il ricordo.

Clesippo Geganio
Reply

un poco di storia carissima Selvaggia non guasterebbe sai?
Da quelle parti dove nemmeno la toponomastica è stabile da circa 2000 anni vivevano popolazioni spurie ed etnie d’origine barbariche in continue lotte e subbugli per il predominio di una sull’altra, ancora oggi lo sono, sotto le ceneri delle ultime sanguinose battaglie cova ancora il fuoco della rivincita degli sconfitti o meglio definita da quella inciviltà barbarica vendetta.
In sintesi chi dovremmo aiutare, chi l’aiuto non lo desidera se non per avere denaro sottoforma di scambi commerciali ed economico-finanziari per acquistare armi e distruggere il suo prossimo?
In quei famigerati anni 90 li avrei lasciati al loro destino per poi intervenire a giochi fatti, no non sono cinico sono pragmatico, tanto quanto lo erano i nostri avi 2000 anni fa che difendevano la civiltà dalle orde di barbari che provenivano anche da quell’area geografica oggi chiamata Europa ma per cultura e civiltà definibile terzo mondo.

michael
Reply

Per quel che possa valere per te, ti stimo. Bel post, mi hai emozionato

clara
Reply

Cara Selvaggia, il regalo lo hai fatto anche a me con questo racconto stupendo che mi ha immerso nell’atmosfera dei tuoi ricordi e li ho rivissuti insieme a te. Buone vacanze e tienici aggiornati. Cari saluti CLARA ESPOSITO

P.S. – Ho 70 anni e da sempre, ed oggi ancor di più, non mi piace andare in vacanza (nessuno, né in famiglia né gli altri, mi capisce) perché per me la vacanza significa riempire gli occhi ed il cuore ed odio stare sulla spiaggia e riposarmi (penso che dopo ne avrò più che abbastanza di riposo eterno) né mi posso permettere – per svariate ragioni – di girovagare da sola per senso di responsabilità verso mio marito . Che bello aver avuto dei genitori come i tuoi!! E che bello essere mamma oggi con la forza di poter portare avanti le proprie convinzioni ad agire in conformità. Bye, bye piccola e selvaggia Selvaggia

flaminia
Reply

Cara selvaggia, mai letto un racconto così toccante e delicato sull’inizio della guerra in Bosnia. GRAZIE

Barbara
Reply

un articolo bellissimo

francesco
Reply

Gentilissima Signora Lucarelli,
ero in Tanzania ad agosto, con Michela, mia futura moglie e i nostri 4 Figli, frutti stupendi dei nostri due matrimoni precedenti. Michela sa tutto di me, del mio passato di “osservatore”, prima militare e poi “civile” in quella che io continuo a chiamare ex Jugoslavia. Osservatore con incarichi molto delicati e particolari di intelligence. Ero un “ragazzo”, appena laureato in economia e con un master, parlavo già all’epoca 7 lingue, tra le quali il serbo e da ufficiale di complemento alpino paracadutista, al top del corso, ricevetti l’invito ad interessarmi a quanto stava accadendo lì, inizialmente come ufficiale di collegamento tra gli Americani, i Serbi (in virtù di amicizie coltivate per anni, prima della guerra) e gli Italiani. La faccio breve: io ero lì. Ed ho visto, respirato, vissuto il pre, durante e dopo di tutto quello che è successo. Tenendo dentro una montagna enorme di segreti, catalogati nelle “evidences” richieste da chi mi aveva affidato quell’incarico. Ho visto (non solo lì) cosa riesce a fare la guerra, come trasforma le persone, come sposta i paletti di quello per cui vale o non vale la pena fare, dalle cose più banali alle più complesse. Ho portato con me, custodendoli gelosamente, immagini, odori, scene, stati d’animo, rumori, …che come fantasmi, puntuali sono tornati a trovarmi più volte per anni, la notte e non solo. Una parte del mio matrimonio, prima di Michela, è morto lì. Una parte di me è morta lì.
Ho conosciuto ed incontrato Zeljko Raznatovic, Arkan, tutt’ora conosco la vedova, cantante di “turbo folk” balcanico; ho conosciuto ed incontrato Ratko Mladic, Karadzic, … e tanti altri, brave persone, come il rettore dell’università privata Sigindunum, Slobodan Unkovic, ex primo ministro con Tito, Tadic, con il quale continua un’amicizia personale…
Ho scritto un libro, alla fine dei miei incubi, qualche anno fa, dove ho parlato di tutto questo, senza mai citare alcun fatto specifico, ma immaginando un viaggio, fatto di storie e di esperienze. Non solo ex Jugoslavia. Chi ha voluto capire, ha capito.
Ero in Tanzania ad agosto, con Michela e i nostri 4 Figli. Mi passa il tablet con questo Tuo pezzo.

Non ho mai dato gran peso ai Tuoi pezzi, a quello che scrivi, lo confesso, se non per qualche sorriso che inesorabilmente mi provoca leggere le descrizioni della fenomenologia umana fatte da Te.

Ho letto tutto d’un fiato il pezzo. E devo dire che mi hai colpito. Colpito fino alle lacrime, lo confesso, io “uomo alfa”, tutto d’un pezzo. Sempre abituato a stare davanti e a dare l’esempio, nascondendo ogni possibile accenno di debolezza. Ero seduto, mi sono dovuto alzare e allontanarmi, con un nodo alla gola… Michela e i Ragazzi se ne sono accorti. Nessuno ha commentato.
Ho perso Amici in quell’assurdità. Gente “anonima” con cui avevo appena parlato, girato l’angolo di una casa, col sorriso, …dilaniati dallo scoppio di una bomba, la testa completamente polverizzata… L’odore della morte… La Tua descrizione del “pre” è quanto di più calzante e centrato ci potesse essere dei fiumi di articoli e descrizioni scritte su quanto successo lì.
Mi sono ripromesso, mentre ingoiavo quel nodo che mi bloccava il respiro e contemporaneamente risvegliava in me gli incubi spariti in testa, che T’avrei scritto per dirTi tutto questo. Per la prima volta.
Non è stato facile, tenendo tutto dentro, rimanere equilibrati per il mondo esterno, in più di qualche occasione.
Brava per aver scritto un pezzo come questo e per essermi entrata dentro come un treno, con tutta la sua potenza e forza devastante.
Oggi guardo a quell’esperienza con un senso di distacco, con una serenità riguadagnata, anche grazie a Michela e all’essermi aperto con Lei, parlando di questo, omettendo le cose più tragiche e cruente, ma facendole capire che io, io ero lì.

C’è una ragazzina di nome Anna, che porta il mio nome e che vive in Italia. E’ la Figlia naturale di Amici che non ci sono più, di quei posti. Ho rischiato forse oltre quello che la legge consente e portandola via dall’orfanotrofio in cui era destinata sono riuscito ad affidarla ad una coppia di Amici in Italia (non chiedermi come) che non avrebbero potuto avere Figli, ma dotati di grande senso dell’essere padre e madre.

Lo sa Michela. Non lo sanno i miei genitori, ma questa è una storia lunga.

E mi fermo qui.

Se leggi questa mia mail, Ti chiedo per favore di tenere per Te il suo contenuto. Prendila come un’apertura e un modo per dirTi che ho apprezzato la Tua delicatezza e la Tua capacità di descrivere gli stati d’animo di quella fase della nostra storia recente.

Grazie per questo, Selvaggia,

francesco

vittorio
Reply

Ciao Selvaggia,

immagino quante persone ti scrivono al giorno e ovviamente capisco che a tutte non puoi rispondere.

Spero veramente che leggerai la mia mail e che mi risponderai.

Ho letto sul tuo blog il tuo interesse verso la Ex Jugoslavia e dei paesi che ne facevano parte.

Ho letto sia la lettera dell’insegnante 28enne che adesso vive in Svizzera sia della tua vacanza quando eri 17enne che ti ha segnato indelebilmente la vita.

Ho visto anche che dopo anni da quella terribile guerra sei andata proprio in uno dei paesi più coinvolti in questo conflitto, la Bosnia-Herzegovina.

Sono sempre stato molto curioso di questo paese, soprattutto perché è un paese veramente multiculturale, ai confini dell’Europa dell’Ovest e dell’Europa dell’Est dove si sono sempre incontrate religioni, tradizioni e culture veramente diverse e poi anche perché ho letto molto riguardo alla sua storia e geografia, essendo un grande appassionato di queste due materie.

Volevo chiederti innanzitutto come si sono evoluti i fatti da quando eri 17enne e poi cosa ti ha colpito di più di questo paese veramente multiculturale perché ,comunque, puoi informarti quanto vuoi, ma quando le cose le vedi con i propri occhi è tutta un’altra storia.

Ciao, ti avevo già inviato delle mail dal mio indirizzo, ma non so se ti sono arrivate (a volte arrivano puntuali, a volte qualche giorno dopo e a volte per niente).

Saluti,

Vittorio.

Leave a comment

name*

email* (not published)

website