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In italia le giurate dei talent contano meno di Alfano

I nuovi assunti, grazie ai mirabolanti effetti del jobs act, ci sono eccome. Inutile diffondere notizie infamanti sui dati delle nuove assunzioni, perché c’è un settore che non conosce crisi: le giurie dei talent.

Ogni anno, tra alzatori di palette, coach, polemici a gettone, luminari di canto, tango argentino, pattinaggio e trippa alla romana, c’è un tasso di occupazione e opportunità che neanche durante la febbre dell’oro. Per non parlare poi di sostituzioni e campagne acquisti che infiammano dibattiti e groupie di giurati, specie quando ci sono addii storici come quello di Morgan a X Factor.
Un addio sofferto ma ampiamente previsto, grazie al quale Sky conta di risparmiare almeno centomila euro a puntata, di cui 50 di Redbull e altri 50 di ansiolitici e benzodiazepine per autori, assistenti e costumisti di Morgan. Del resto, Morgan era il Pippo Civati di X Factor .

Dopo anni in cui se ne stava seduto in tv raccontando a tutti quanto gli facesse schifo la tv – come Civati è rimasto anni nel Pd raccontando a tutti quanto gli facesse schifo il Pd – s’è finalmente tolto dalle balle. Non ci è dato sapere se anche lui finirà tra le braccia di Vendola, ma considerato che è stato anni con Asia Argento, con uno che è lucido a sprazzi dovrebbe trovarsi piuttosto bene.

In compenso, per l’addio della Cabello s’è fatto ben poco rumore. È vero, è stata poco incisiva ma c’è anche da dire che per farsi largo tra Mika, Morgan e Fedez più che molta personalità serviva un carro armato sovietico. O forse, molto più banalmente, serviva essere un uomo.

Perché non so se ci avete fatto caso, ma nelle giurie dei talent, tranne rare eccezioni, le donne o sono in minoranza, o sono innocue, o sono uomini. C’è uno strisciante e forse poco consapevole maschilismo per cui in un ruolo che richiede autorevolezza e credibilità alla fin fine i produttori vedono meglio gli uomini.

Prendiamo X Factor. Inizialmente le donne c’erano pure ma o avevano un’età grazie alla quale sarebbero state autorevoli pure nel parlare di smalto permanente (Maionchi e Claudia Mori) o erano cantanti che fanno più visualizzazioni su Instagram con i loro selfie davanti alla cabina armadio che su youtube coi loro video musicali (Tatangelo) oppure donne che capivano di musica quanto io di plusvalenza, ovvero Simona Ventura, che infatti aveva il ruolo di quella che non capiva nulla di musica ed era pure una donna, quindi giù tutti a darle della scema incompetente. Così come ad Arisa, macchietta naif durata quanto la povera Cabello.

Una Cabello sola in mezzo ai tre degli uomini più egoriferiti del pianeta dopo Hitler, Renzi e Steve Jobs. Quest’anno, non a caso, accanto a Elio, Fedez e Mika, ci sarà Skin, che comunque è lesbica dichiarata e anche solo a guardarla, se dovessi chiedere una mano per un trasloco, chiederei più a lei che a Mika.

Per la cronaca, nelle versioni americane e inglesi di X Factor le cose vanno un po’ diversamente.

In quello inglese le donne sono sempre state la metà della giuria e tutte con esperienze musicali importanti (da Nicole Scherzingher a Mel B) e in quello americano edizione 2013 il mitico Simon Cowell era addirittura in compagnia di ben tre donne: Demi Lovato, Paulina Rubio e Kelly Rowland.

A The Voice of Italy le cose non vanno molto meglio: e l’anno scorso le donne erano due (Carrà e Noemi), quest’anno Raffaella è stata sostituta da ben due uomini (Facchinetti padre e figlio), per cui al momento ci sono quattro coach uomini e una sola donna, Noemi.

A Masterchef non ne parliamo neanche. Noi donne, angeli del focolare, nei talent sulla cucina ci trasformiamo nell’anticristo. Siamo quelle che fanno trovare la cena pronta, ma se c’è da giudicare come cucinano gli altri, non siamo abbastanza autorevoli. E così, dal prossimo anno, alla triade rigorosamente al maschile Cracco-Barbieri-Bastianich si aggiunge pure Cannavacciuolo, perché noi donne siamo da paletta dei dolci, loro da paletta da giudici.

In Masterchef Junior invece, tra due uomini, spunta fuori la madre di Joe Bastianich, ma giusto perché i concorrenti sono bambini e lì una donna nelle vesti di mamma è nel suo ruolo. In Italia ’s got talent prima gli uomini erano due (Scotti e Zerbi assieme alla De Filippi che comunque è la classica femmina rassicurante quanto Carminati nel c.d.a. di Alitalia), ora con la Zilli e la Littizzetto la situazione è decisamente più equilibrata, sebbene Bisio e Matano siano i veri mattatori del gruppo.

Infine, c’è Ballando con le stelle che in giuria vede la bellezza di quattro uomini (Canino, Zazzaroni, Amargo, Mariotto) e un’unica donna, Carolyn Smith. Ora, è vero che la chioma scalata effetto Charlie’s Angels di Zazzaroni vale almeno tre presenze femminili, ma anche lì non si capisce perché le donne siano iconograficamente destinate a tutù e scaldamuscoli, ma non a voti e paletta.

UNICA VERA eccezione sono i talent defilippiani, da Amici a Tu sì que vales, in cui di donne, dalla Ferilli a Mara Venier, non solo ci sono, ma sono anche ben più ficcanti dei vari Argentero o di Francesco Renga, che quest’anno, seduto col suo cardigan da cena in baita e la faccia di quello che sta lì ma preferirebbe dedicarsi allo sminamento del Sinai, è decisamente fiacco. E poi diciamolo: se è vero che gli uomini non ci vedono abbastanza autorevoli per fare i giudici e se ci piazzano in un talent siamo lì giusto per fare colore come le ministre renziane, è anche vero che con il recente arrivo di Loredana Bertè nella giuria di Amici, giustizia è stata fatta. Cazzuta, politicamente scorretta, impopolare e lucida al di là di ogni previsione, potrebbe avere un contraddittorio con chiunque, dal rapper Briga a Matteo Salvini e li annienterebbe comunque. Fosse per me io la manderei anche in Libia a trattare col governo.

Se poi dovesse allungare fino a Sirte, secondo me la Bertè, magari un po’ incazzata perché da quelle parti il califfo ha proibito alcol e sigarette, farebbe indietreggiare pure l’Isis. E in fondo, non è per niente una cattiva idea: con la Bertè rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la Mogherini giudice ad Amici, secondo me il Paese ci guadagnerebbe pure.

Arisa: l’unica Controvento


Ho capito che gli equilibri nella musica italiana sono definitivamente mutati quando ho letto la sceneggiata di Piero Pelù a Tv Sorrisi e Canzoni.
El Diablo, il maledetto, il cantante che puzza di zolfo e sudore, quello che gira inguainato nei pantaloni di pelle anche con cinquantadue gradi e cinquantadue anni percepiti, ha sbattuto i pugni sul beauty-case perché in foto è venuto male. Perché non si piace. Perché non gli hanno fatto controllare lo scatto prima. O quando Ligabue s’è messo a cantare sul palco dell’Ariston pettinato come Justin Bieber con Fazio che gli ballava dietro. Ecco.

Lì ho capito che non ci sono più i rocker di una volta. Che la trasgressione, quella fatta di coraggio, ribellione e provocazioni veraci, oggi in Italia appartiene ad un solo personaggio nel campo musicale. Appartiene ad Arisa. E non storcete il naso perché ha più coraggio Rosalba Pippa da Pignola che il novantacinque per cento di tutta la sterminata mandria di attrici, comici, cantanti e ballerini che popolano il tubo catodico.

Ha iniziato che pareva Ugly Betty, con l’aria di quella che alle feste di classe riceveva meno inviti a ballare un lento lei della scopa. Si presentava vestita da campagnola bon ton, canticchiava «Sincerità» o «Malamorenò», due canzoncine buone da fischiettare sotto una doccia (chimica) e rispondeva alle interviste con la vocina di colei che aveva appena dato due boccate d’elio. Insomma, la guardavi e ti auguravi che finisse inghiottita al più presto nello stesso buco nero in cui sono stati risucchiati i Jalisse o i Neri per caso o i Dirotta su Cuba o Gemma del Sud. E invece non avevamo capito niente. Mentre noi, stupidi, stavamo prendendo le misure del suo naso, Arisa stava prendendo le misure del successo. Fiutava, si guardava intorno, imparava le regole. Sostanzialmente, decideva di farsi accettare e farsi spalancare la porta della popolarità per poi creare un gran casino dal di dentro. Che poi è lo stage di tutte le schegge impazzite che si rispettino. Tu pensi d’aver fatto entrare in casa Bambi e invece ti ritrovi l’Anticristo.

I primi segnali decisivi della mutazione da nerd a scheggia, sono arrivati con X Factor. Intanto, Arisa ha avuto un infighimento che neanche Franceschini prima e dopo la barba. E quando una donna si infighisce in quel modo, quando una passa dall’essere Betty la cozza a Arisa la gnocca, vuol dire che è capace di tutto, dall’entrare nell’arco di un mese in una taglia quaranta a sfanculare con un totale sprezzo del pericolo il coach più irascibile della storia dei talent, dalla naumachia di Giulio Cesare ad Amici di Maria De Filippi: Simona Ventura. E infatti, col suo «Sei falsa Simona cazzo!» Arisa è entrata a pieno titolo nella storia degli impavidi che hanno saputo sfidare l’impossibile: Davide contro Golia, Leonida contro la Persia, Cuperlo contro Renzi, Arisa contro Simona Ventura. E nonostante il gesto le sia costato l’epurazione dal talent più bello della tv – perché una donna a cui hanno falciato il nonno sulle strisce pedonali sa perdonare, ma la Ventura no – Arisa non ha battuto ciglio e ha proseguito per la sua strada.

Dritta si fa per dire, visto che sui tacchi ha l’andatura di Johnny Depp all’uscita da un’enoteca. Nel frattempo si molla col suo fidanzato, che poi è quello che le ha scritto tutte le canzoni fino a quel momento compresi i motivetti demotivanti, e si consola con un altro, tal Lorenzo, il quale a dirla tutta è pure piuttosto figo. I giornali la ritraggono con lui per strada e le limonate immortalate dai paparazzi sono così focose che l’ugola di Arisa la vediamo per la prima volta sui giornali di gossip, anziché sul palco mentre canta. Noi la pensavamo a letto nella sua sottana di lino bianco col buco al centro come le vergini di una volta e invece è molto probabile che Arisa abbia una vita sessuale ben più vivace della nostra. E di quella di Piero Pelù.
Intanto alla scheggia Arisa riesce un altro miracolo, che è quello di tenersi l’ex fidanzato come autore delle sue canzoni, e questo di rimanere soci degli ex, è un talento che in Italia è universalmente riconosciuto a sole due categorie umane: le gatte morte e Casini. Poi arriva Sanremo 2014. Mentre Noemi si presenta vestita da gemellina di Shining, Arisa veste Jil Sander. Ha l’aria imbronciata e sfrontata di quella che sta lanciando un preciso messaggio al popolo: «Ero un fumetto e ora sono un’icona minimal chic. Avete creduto a tutto, al milione di posti di lavoro, al metodo Stamina, alla conversione di Sara Tommasi e ai vantaggi della Tasi, potete credere anche a questo».

Noi, in effetti, ci crediamo a tal punto che «Controvento» e le sue décolleté gialle, riescono a polverizzare perfino gli scolli a V con pelo strategico di Renga, gli acuti di Gualazzi e i contorsionismi al piano di Rubino. E dopo aver steso tre uomini con un brano del suo ex uomo, stende anche il quarto, Fazio, che prova a far leva sull’emozione della vittoria e si sente rispondere: «Sì, mi aspettavo di vincere, ero qui per questo. E non mi scompongo, io sono così». Morale: Sorrentino agli Oscar ringrazia pure Maradona emozionato come un adolescente e lei a momenti col palmizio d’oro ci si gratta la schiena.

Ma il panzer Arisa non si ferma qui. Il giorno dopo va dalla Venier per le celebrazioni di rito, le mostrano un video in cui la madre racconta di come era da piccola e lei esce di scena incazzata come una biscia. La Venier la implora di tornare ma Arisa è già al casello Imperia est. Dirà in seguito che la tv delle lacrime e del gossip le fa orrore. La Venier, altra creatura incline al perdono quanto la Ventura, Putin e l’Idra a tre teste, va dalla Bignardi e in mezz’ora di intervista, per ventinove minuti lancia anatemi ad Arisa. Una roba che se fossi Arisa cambierei nome sul passaporto e me ne andrei a vivere in una comunità di Quaccheri in Pennsylvania. Ad Arisa, invece, tanto per cambiare non frega un’emerita cippa e continua beata la sua promozione, incurante di battutacce sul suo cognome e delle regole del gioco. E anche del sottotitolo che i nemici illustri hanno dato al suo nuovo album «Se vedo te». Sì, Se vedo te (ti meno). Avanti così Arisa, sei tutti noi.